Carissimi,
È un Natale diverso quello che ci accingiamo a vivere e a celebrare. Non possiamo negarlo: tutti siamo molto provati dalla drammatica pandemia che da dieci mesi ha sconvolto le nostre vite: lutti, sofferenze, distanziamenti forzati, chiusura di esercizi commerciali, per molti un’emergenza economica che desta forti preoccupazioni anche per l’immediato futuro, disagi per le famiglie che si trovano spesso a “gestire” i figli lontani dalla scuola, una forte pressione psicologica subita dai giovani, che non di rado trova sfogo in atti di inconsueta violenza. E tutti a sperare nell’arrivo di un “benedetto” vaccino, che ci liberi istantaneamente da quella  sorta di “incantesimo maligno” che ci ha reso in larga misura prigionieri.

Più che la voce dei profeti biblici, i cui annunci di speranza la Liturgia di Avvento propone normalmente alla nostra riflessione, siamo portati maggiormente ad ascoltare gli annunci di altri “profeti”, che appaiono ai nostri occhi più concreti: quelli dei virologi, dei giornalisti, dei politici. E perfino il colore della speranza, dal verde tradizionale, assume piuttosto le tinte del “giallo”, che annuncia possibilità di spostamenti, acquisti, ricongiungimenti familiari…
Tutto ciò, badate bene, risulta del tutto comprensibile e sono il primo sinceramente a  riconoscere la particolarità drammatica di questo periodo storico che stiamo attraversando. È un tempo molto duro, bisogna ammetterlo, ma proprio per questo la domanda si fa più pressante e decisiva: quale Natale stiamo per celebrare? Quale contenuto di novità esso porta con sé? Che speranza reale offre alla vita di tutti noi, anche e soprattutto in un tempo segnato dal Coronavirus?
Ognuno di noi, carissimi, deve porsi sinceramente e attentamente queste domande, pena attendere il prossimo Natale come si attende un qualsiasi altro giorno di festa del Calendario, con la differenza data dall’impegno di comprare qualche regalo (ma saremo quest’anno giustificati, qualora non accontentassimo tutti) e dall’attenzione di non invitare al cenone se non gli stretti familiari.

La novità del Natale “cristiano” rischierebbe infine di ridursi soltanto all’anticipazione dell’orario della Messa della Notte e a corali necessariamente ridotte. Tutto qui?
Ebbene, proprio QUESTO Natale può essere e dovrebbe essere un messaggio di autentica speranza, l’irradiarsi di una luce risplendente nella notte del mondo, un annuncio di vera gioia, come quello dato ai pastori nella notte di Betlemme: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,10-12).
Il Natale è l’annuncio del “Dio-che-viene”, che viene per essere SEMPRE con noi, l’Emmanuele, il  “Dio con noi”! Ma lasciamo che siano le parole di Papa Francesco, pronunciate durante la preghiera dell’Angelus di inizio Avvento, a guidare la nostra riflessione:

Il nostro Dio è un Dio-che-viene – non dimenticatevi questo: Dio è un Dio che viene, continuamente viene – : Egli non delude la nostra attesa! Mai delude il Signore. Ci farà aspettare forse, ci farà aspettare qualche momento nel buio per far maturare la nostra speranza, ma mai delude. Il Signore sempre viene, sempre è accanto a noi. Alle volte non si  fa vedere, ma sempre viene. È venuto in un preciso momento storico e si è fatto uomo per prendere su di sé i nostri peccati – la festività del Natale commemora questa prima venuta di Gesù nel momento storico – ; verrà alla fine dei tempi come giudice universale; e viene anche una terza volta, in una terza modalità: viene ogni giorno a visitare il suo popolo, a visitare ogni uomo e donna che lo accoglie nella Parola, nei Sacramenti, nei fratelli e nelle sorelle. Gesù, ci dice la Bibbia, è alla porta e bussa. Ogni giorno. È alla porta del nostro cuore. Bussa. Tu sai ascoltare il Signore che bussa, che è venuto oggi per visitarti, che bussa al tuo cuore con una inquietudine, con un’idea, con un’ispirazione? È venuto a Betlemme, verrà alla fine del mondo, ma ogni giorno viene da noi. State attenti, guardate cosa sentite nel cuore quando il Signore bussa.
Sappiamo bene che la vita è fatta di alti e bassi, di luci e ombre. Ognuno di noi sperimenta momenti di delusione, di insuccesso e di smarrimento. Inoltre, la situazione che stiamo vivendo, segnata dalla pandemia, genera in molti preoccupazione, paura e sconforto; si corre il rischio di cadere nel pessimismo, il rischio di cadere in quella chiusura e nell’apatia.
Come dobbiamo reagire di fronte a tutto ciò? Ce lo suggerisce il Salmo di oggi: «L’anima nostra attende il Signore: egli è nostro aiuto e nostro scudo. È in lui che gioisce il nostro cuore» (Sal 32,20-21). Cioè l’anima in attesa, un’attesa fiduciosa del Signore fa trovare conforto e coraggio nei momenti bui dell’esistenza. […]
Dio è presente nella storia dell’umanità, è il «Dio con noi», Dio non è lontano, sempre è con noi, al punto che tante volte bussa alle porte del nostro cuore. Dio cammina al nostro fianco per sostenerci. Il Signore non ci abbandona; ci accompagna nelle nostre vicende esistenziali per aiutarci a scoprire il senso del cammino, il significato del quotidiano, per infonderci coraggio nelle prove e nel dolore. In mezzo alle tempeste della vita, Dio ci tende sempre la mano e ci libera dalle minacce. Questo è bello!

Il Signore viene e cammina al nostro fianco: ma possiamo – ed è esperienza di tutti, anche di coloro che si professano cristiani – non accorgercene, non averne coscienza. Già Sant’Agostino diceva: “ho paura che Gesù passi e io non me ne accorga”. Per questo l’Avvento ci esorta ancora una volta alla “vigilanza”, a risvegliare nel nostro cuore l’attesa di Lui, perché tutto ciò che non è atteso, ardentemente desiderato, anche quando accade rischia di non essere riconosciuto. Perciò è risuonata spesso, nel Vangelo di queste settimane, l’esortazione a “vegliare”, ad “essere svegli, attenti”. Ancora Papa Francesco, nella stessa prima Domenica di Avvento – durante la celebrazione della Santa Messa con i nuovi Cardinali – così si esprimeva:

C’è un sonno pericoloso: “il sonno della mediocrità”. Viene quando dimentichiamo il primo amore e andiamo avanti per inerzia, badando solo al quieto vivere. Ma senza slanci d’amore per Dio, senza attendere la sua novità, si diventa mediocri, tiepidi, mondani. E questo corrode la fede, perché la fede è il contrario della mediocrità: è desiderio ardente di Dio, è
audacia continua di convertirsi, è coraggio di amare, è andare sempre avanti. La fede non è acqua che spegne, è fuoco che brucia; non è un calmante per chi è stressato, è una storia d’amore per chi è innamorato! […]
E dunque, come possiamo svegliarci dal sonno della mediocrità? Con “la vigilanza della preghiera”. Pregare è accendere una luce nella notte. La preghiera ridesta dalla tiepidezza di una vita orizzontale, innalza lo sguardo verso l’alto, ci sintonizza con il Signore. La preghiera permette a Dio di starci vicino; perciò libera dalla solitudine e dà speranza. La preghiera ossigena la vita: come non si può vivere senza respirare, così non si può essere cristiani senza pregare. […]
C’è poi un secondo sonno interiore: “il sonno dell’indifferenza”. Chi è indifferente vede tutto uguale, come di notte, e non s’interessa di chi gli sta vicino. Quando orbitiamo solo attorno a noi stessi e ai nostri bisogni, indifferenti a quelli degli altri, la notte scende nel cuore. Il cuore diventa oscuro. Presto si comincia a lamentarsi di tutto, poi ci si sente vittime di tutti e infine si fanno complotti su tutto. Lamentele, senso di vittima e complotti. È una catena. Oggi questa notte sembra calata su tanti, che reclamano per sé e si disinteressano degli altri.
Come ridestarci da questo sonno dell’indifferenza? Con “la vigilanza della carità”. Per portare luce a quel sonno della mediocrità, della tiepidezza, c’è la vigilanza della preghiera. Per ridestarci da questo sonno dell’indifferenza c’è la vigilanza della carità. La carità è il cuore pulsante del cristiano: come non si può vivere senza battito, così non si può essere cristiani senza carità. A qualcuno sembra che provare compassione, aiutare, servire sia cosa da  perdenti! In realtà è l’unica cosa vincente, perché è già proiettata al futuro, al giorno del Signore, quando tutto  passerà e rimarrà solo l’amore. È con le opere di misericordia che ci avviciniamo al Signore. […]

PREGARE E AMARE: ecco la vigilanza, ecco ciò che contrasta il sonno della mediocrità e dell’indifferenza, e – aggiungerei – la tentazione del nichilismo e della disperazione. Abbiamo motivo di sperare, perché il Signore è già venuto, si è coinvolto con la nostra vicenda umana e si accompagna permanentemente a noi, nel cammino della vita e oltre i suoi confini terreni.
Concludo questa mia semplice lettera natalizia, assicurando il mio ricordo e la mia preghiera al Signore per ciascuno di voi, e in particolare:
Mi ricordo di voi, bambini, e prego per voi: che presto torniate a giocare insieme, all’aria aperta senza mascherine e senza timore di fare qualcosa di male;
Mi ricordo di voi, giovani, e prego per voi: che possiate riprendere la vita di sempre, nei vostri
luoghi di studio, di sport, di incontro;
Mi ricordo di voi, famiglie, e prego per voi: che questo periodo abbia consolidato maggiormente i vostri legami, aiutandovi ad affrontare insieme le difficoltà;
Mi ricordo di voi, anziani e ammalati, e prego per voi: perché sappiate che il Signore vi tiene
particolarmente nel cuore, chiedendovi di offrire insieme a Lui le vostre sofferenze;
Mi ricordo di voi, che siete in lutto per la perdita di un vostro caro, e prego per voi; perché il
Signore vi conforti con la speranza della Risurrezione, nella quale ci ritroveremo insieme;
Mi ricordo di voi, fratelli e sorelle detenuti, e prego per voi: affinché non cediate alla rassegnazione, ma viviate nella speranza, trasformando l’oggi in un cammino di crescita, di fede e di carità.

Mi ricordo di voi, che soffrite la solitudine, e prego per voi: affinché vi siano fratelli e sorelle che
si prendono cura di voi, donandovi il loro tempo;
Mi ricordo di voi, poveri, che passate i giorni per strada, e prego per voi: perché possiate
incontrare sempre persone che vi guardano negli occhi e vi aiutano;
Mi ricordo di voi, religiose e religiosi, e prego per voi: affinché l’offerta della vostra vita e la vostra
preghiera siano ricompensate da quella consolazione che solo il Signore sa dare;
Mi ricordo di voi, sacerdoti, e prego per voi: che possiate presto riabbracciare le persone delle vostre comunità, riprendendo insieme con gioia ed entusiasmo il cammino interrotto;
Mi ricordo di te, persona che non conosco e che tuttavia stai leggendo questa mia lettera,
e prego per te: perché tu abbia la grazia di accorgerti con stupore che in Gesù Dio si è fatto uomo,
ha vissuto una vita umana, è morto ed è risorto per te, per la tua felicità. PROPRIO PER TE,
PERCHÉ TU SIA FELICE. Da ora, fino all’eternità.

 Andrea Bellandi
Arcivescovo

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