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Vita Spirituale – Comunità Diaconale Diocesi di Salerno, Acerno, Campagna https://www.comunitadiaconalesalerno.it Tue, 16 Apr 2024 17:13:21 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.9.9 https://www.comunitadiaconalesalerno.it/wp-content/uploads/2021/01/cropped-ms-icon-310x310-1-32x32.png Vita Spirituale – Comunità Diaconale Diocesi di Salerno, Acerno, Campagna https://www.comunitadiaconalesalerno.it 32 32 La bella notizia https://www.comunitadiaconalesalerno.it/la-bella-notizia/ Tue, 16 Apr 2024 17:13:21 +0000 https://www.comunitadiaconalesalerno.it/?p=4263   Il 15 aprile 2024, nella Collegiata di San Michele Arcangelo in Solofra, il diacono Maurizio Scorza, vicedirettore dell’Ufficio Catechistico Diocesano, ha presentato il suo libro “La bella notizia. Annunciare il Vangelo nell’epoca del disincanto” . L’evento è stato trasmesso su canale YouTube (alleghiamo il link).  

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Il 15 aprile 2024, nella Collegiata di San Michele Arcangelo in Solofra, il diacono Maurizio Scorza, vicedirettore dell’Ufficio Catechistico Diocesano, ha presentato il suo libro “La bella notizia. Annunciare il Vangelo nell’epoca del disincanto” . L’evento è stato trasmesso su canale YouTube (alleghiamo il link).

 

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Giornata diocesana del Diaconato Permanente 14.01.2024 https://www.comunitadiaconalesalerno.it/giornata/ Sun, 07 Jan 2024 12:00:04 +0000 https://www.comunitadiaconalesalerno.it/?p=4241 Giornata diocesana del Diaconato Permanente del 14.01.2024 In allegato comunicazione dell’Arcivescovo Andrea Bellandi. Allegati Giornata diocesana del Diaconato permanente (3 MB)

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Giornata diocesana del
Diaconato Permanente del
14.01.2024

In allegato comunicazione dell’Arcivescovo Andrea Bellandi.

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Esercizi Spirituali del 24.08.2023 al 27.08.2023 https://www.comunitadiaconalesalerno.it/visita-del-patriarca-ecumenico-duplicate-1/ Sat, 02 Sep 2023 17:50:06 +0000 https://www.comunitadiaconalesalerno.it/?p=4203 Esercizi Spirituali 24.08.2023 al 27.08.2023 il Santuario di S. Gerardo Maiella in Materdomini (AV)

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Esercizi Spirituali
24.08.2023 al 27.08.2023
il Santuario di S. Gerardo Maiella in Materdomini (AV)

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Diaconi a servizio di chi soffre nel corpo e nello spirito https://www.comunitadiaconalesalerno.it/diaconi-servizio-di-chi-soffre-nel-corpo-e-nello-spirito/ https://www.comunitadiaconalesalerno.it/diaconi-servizio-di-chi-soffre-nel-corpo-e-nello-spirito/#respond Tue, 09 Feb 2021 17:59:16 +0000 http://www.comunitadiaconalesalerno.it/?p=2715 La Pastorale della Chiesa può essere paragonata ad un prisma che, girato tra le mani, mostra le tante e numerose sfaccettature. A guardarlo bene è possibile ravvisare le tante opere di carità e l’attuazione dei “consigli evangelici”. Tra questi vi è quello del servizio ai fratelli e sorelle che soffrono nel corpo e nello spirito. […]

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La Pastorale della Chiesa può essere paragonata ad un prisma che, girato tra le mani, mostra le tante e numerose sfaccettature. A guardarlo bene è possibile ravvisare le tante opere di carità e l’attuazione dei “consigli evangelici”. Tra questi vi è quello del servizio ai fratelli e sorelle che soffrono nel corpo e nello spirito. Questa dovrebbe essere una tematica molto cara a quanti hanno una particolare propensione ed attenzione per il mondo della sofferenza. L’Ufficio della Pastorale della Salute, nelle singole diocesi potrebbe, approfondendo le varie problematiche esistenti, creare occasioni di incontri, dibattiti, e forti momenti di spiritualità in modo particolare in preparazione della Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio) con lo scopo di consolidare il rapporto tra tutte le Associazioni ed i Movimenti che operano nel campo dell’assistenza e del trasporto dei malati nei vari santuari mariani rivolgendo anche una particolare attenzione al mondo del volontariato laico e cattolico, avendo cura di approfondire il contesto culturale per dare maggior respiro ad una più aggiornata forma di evangelizzazione. La Pastorale della Salute non riguarda solo la dimensione fisico-biologica, ma, anche quella psicologica, sociale, relazionale, economica, morale e religiosa. Alla cultura del “benessere” dobbiamo affiancare il valore fondamentale ed inviolabile della vita umana. Papa Giovanni Paolo II, esperto anche della sofferenza ci ricorda in un passo “dell’Evangelium vitae” , quando indicava l’urgenza di “una riaffermazione precisa e ferma del valore della vita umana e della sua inviolabilità, e insieme un appassionato appello rivolto a tutti e a ciascuno, in nome di Dio: rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità”.

E’ importante tener presente che il territorio delle nostre diocesi, molto spesso esteso, presenta realtà culturali e sociali molto diverse tra loro per cui le opere di urbanizzazione, la creazione di nuovi quartieri “dormitorio”, l’impoverimento abitativo dei paesi e l’incremento di altri comuni vicini alle strutture universitarie o sulle grandi strade di traffico, tendono a disgregare l’antico substrato di familiarità ed amicizia che ancora resiste nei piccoli centri, creando quelle che potremmo definire “nuove solitudini”. Non va inoltre sottovalutato che oggi, nel mondo, si va sviluppando sempre più l’idea che la salute è diventata “oggetto di consumo”. L’uomo, nella ricerca ossessiva della salute a tutti costi, ha sviluppato una cultura narcisistica del corpo, spesso eccessiva e la sensazione che la medicina possa essere la risposta a tutti i bisogni e desideri personali ha fatto nascere alcune forme di “farmacodipendenza”. Il crearsi di falsi valori morali, che portano a confondere salute fisica con felicità, ha dato vita a nuovi idoli. Le illusioni di salvezza hanno inquinato il rapporto tra medicina e persona generando attese che la medicina, con i propri mezzi, non può soddisfare. Il concetto di vita diffuso dalla cultura del benessere non è più in grado di cogliere il valore della sofferenza che, ritenuta una grandezza negativa, toglie perfino significato alla vita stessa nel momento del dolore e della malattia.

Questa idea, riesce ad oscurare quello, più fondamentale, del valore intrinseco e inviolabile della vita umana. Anche tra i cristiani, purtroppo, va maturando la convinzione che nel momento della sofferenza non possa nascere una vocazione e una missione d’amore. La Pastorale della Salute, che può essere descritta come “la presenza e l’azione della Chiesa (nel mondo della sanità) per recare la luce e la grazia del Signore a coloro che soffrono e a quanti se ne prendono cura” prevede cinque aspetti nodali intorno a cui ruota il quadro essenziale di questo programma: “scopi, destinatari, soggetti, mezzi e luoghi”.

Credo che questo sia il terreno sul quale i Diaconi si devono muovere ed è quindi necessario che, coloro che si sentono particolarmente chiamati a questo servizio ecclesiale, si preparino sia culturalmente che spiritualmente ad essere operanti nel mondo della sofferenza ed in particolare essere vicino ai tanti ministri sacri anziani o ammalati. Questo impegno potrebbe divenire, oggi, il modo concreto per essere una Chiesa “ospedale da campo” che veda all’opera questi nuovi “samaritani” impegnati a testimoniare nel mondo che i “fratelli e le sorelle che soffrono devono essere amati non a parole ma con i fatti”. Il Diacono quindi come “ministro sacro” chiamato ad indossare il “grembiule” è tra i destinatari di questa missione ed insieme a tutti gli altri ministri ordinati, con il loro abito di servizio, possono e debbono essere gli “operatori sanitari” pronti a sostituire le mani ed il cuore dell’unico “Medico” dei corpi e delle anime. Si suggerisce, a quanti vogliono essere attivamente impegnati in questo particolare campo di servizio, di frequentare gli appositi corsi organizzati dalle varie Facoltà Teologiche o da Istituti religiosi predisposti alla cura degli ammalati. Si auspica la presenza dei Diaconi nelle Cappellanie ospedaliere, nelle corsie degli ospedali, nelle case di cura e nelle carceri. L’ideale sarebbe quello di predisporre, a livello diocesano e regionale, corsi di formazione per tutti i Diaconi nei vari settori della pastorale, onde poter in sinergia lavorare per creare una nuova mentalità di accoglienza, vicinanza, operatività concreta a favore non solo degli ammalati ma anche di quanti familiari, Associazioni, Movimenti e Gruppi hanno a cuore questo particolare e delicato settore della Pastorale. A tutta la Chiesa ed in particolare ai sacri ministri, Papa Francesco ricorda che: “se vogliamo incontrare realmente Cristo, è necessario che ne tocchiamo il corpo in quello piagato dei malati e dei poveri, come riscontro della comunione sacramentale ricevuta nell’Eucarestia: Il Corpo di Cristo, spezzato nella sacra liturgia, si lascia ritrovare dalla carità condivisa nei volti e nelle persone dei fratelli e delle sorelle più deboli”.

Diac. Francesco Giglio

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Guida all’esame di coscienza https://www.comunitadiaconalesalerno.it/guida-esame-di-coscienza/ https://www.comunitadiaconalesalerno.it/guida-esame-di-coscienza/#respond Mon, 08 Feb 2021 10:17:11 +0000 http://www.comunitadiaconalesalerno.it/?p=2683 Prima della confessione o alla fine di ogni ornata il cristiano, con un esame di coscienza, è invitato a rivedere alla luce della fede quanto ha compiuto, cioè riscontra se e quanto il patrimonio dei doni ricevuti da Dio ha portato frutto. Papa Francesco, con sapienza, raccomanda, in modo particolare,alla sera , prima di finire […]

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Prima della confessione o alla fine di ogni ornata il cristiano, con un esame di coscienza, è invitato a rivedere alla luce della fede quanto ha compiuto, cioè riscontra se e quanto il patrimonio dei doni ricevuti da Dio ha portato frutto. Papa Francesco, con sapienza, raccomanda, in modo particolare,alla sera , prima di finire la giornata, raccogliendosi un momento da soli dobbiamo farci la domanda: “ Cosa è accaduto oggi nel mio cuore? Cosa è successo? Quali cose sono passate attraverso il mio cuore?”. Se non lo facciamo, davvero non sappiamo vigilare bene né custodire bene: Fare un breve esame di coscienza, ogni sera, prima di andare a dormire, ci aiuterà a difenderci da tante cattiverie, anche da quelle che noi possiamo fare, se entrano questi demòni, che sono furbissimi, e alla fine ci truffano tutti >

Come fare l’esame di coscienza

L’esame di coscienza può essere fatto in vari modi.
Ecco alcuni suggerimenti pratici:

  • Inizio facendo memoria e ringraziando dei benefici ricevuti dal Signore e dei piccoli frutti di bene donati ai fratelli e alle sorelle durante la giornata.
  • Chiedo la grazia di conoscere i peccati per eliminarli. E’ una grazia conoscere i peccati. Una grazia da chiedere. Conoscere come ho peccato e come, invece, ho risposto al dono.
  • Scendo nel concreto passando in rassegna i comandamenti, specialmente quello dell’amore; oppure rivisitando con calma e attenzione tutta la giornata con i suoi fatti e incontri, parole e persone, pensieri e tentazioni; oppure considero le azioni compiute durante il giorno appena trascorso, chiedendomi: “ Con quale sentimento ho agito? Con quale pensiero fondamentale?”.

Volendo possiamo usare il seguente esame di coscienza:

  • il mio rapporto con gli altri
    • Amo il mio prossimo come me stesso?
    • Mi lascio prendere dall’ra o sono calmo e pacifico?
    • Tendo a servirmi degli altri o a servirli?
    • Faccio valere le mie opinioni servendomi della forza o della ragione?
    • Sono capace di perdonare chi mi fa del male?
    • Sono sincero e leale o mi accade a volte di mentire per paura o per interesse?
    • Considero mio onore il meritare fiducia?
    • Quando qualcuno mi chiede aiuto come mi comporto?
    • Sono capace di vedere e condividere la tristezza e la gioia del mio prossimo?
    • Mi isolo da ciò che mi accade intorno e tendo a pensare ai fatti miei?
    • Sono invidioso o gioisco di ciò che ha il mio fratello o la mia sorella?
    • Ho coscienza di essere una parte inserita in un tutto armonico o mi sento centro dell’universo?
  • la mia risposta al progetto di Dio
    • Metto Dio al primo posto nella mia vita?
    • Faccio le mie scelte alla luce della Parola di Dio?
    • Dedico alla preghiera il giusto tempo nella mia giornata?
    • Prego ogni giorno?
    • Sono fedele al dovere di santificare le feste?
    • Mi accade a volte di bestemmiare?
    • Ho partecipato a sedute spiritiche o a riti magici o a forme di divinazione?
    • Credo nell’astrologia?
    • Consulto gli oroscopi?
    • Vivo nella presunzione di essere l’autore della mia vita o mi lascio guidare dal
      Signore?
    • Sono sempre vigilante per cogliere i segni della Sua volontà?
    • Sono docile e pronto nel rispondere alla Sua chiamata che mi indirizza ogni
      giorno?
    • Ringrazio Dio continuamente per i suoi doni o la mia preghiera è fatta solo di
      richieste?
  • Dopo aver esaminato la mia coscienza, chiedo umilmente perdono a Dio con parole mie oppure usando formule proposte da vari testi?
  • Propongo di correggermi e formulo un piccolo proposito da mettere in pratica, affinché si possa realizzare una vera conversione?
  • Infine ringrazio il Signore, con parole mie, per il suo perdono?

Il fine ultimo di un buon esame di coscienza, oltre a ristabilire il patto di figliolanza con Dio, si prefigge di:

  • Trovare perfettamente Gesù Cristo.
  • Amarlo teneramente.
  • Servirlo fedelmente.

Per ottenere quanto prefissato, ricorriamo alla Vergine Maria che non solo è “il mezzo del quale nostro Signore si è servito per venire sino a noi”, ma ella è anche “ il mezzo di cui dobbiamo servirci per andare a Lui”. Attraverso Maria troviamo, conosciamo, amiamo e serviamo Gesù, come solo una madre conosce, ama e serve il proprio figlio. Per amare e far amare teneramente Gesù dobbiamo:

  • Riaffermare la centralità dell’Eucarestia.
  • Promuovere la preghiera come mezzo privilegiato per trovare il Signore;
  • Diffondere la devozione al Cuore Immacolato di Maria.
  • Onorare San Giuseppe.

Diac. Francesco Giglio

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Liturgia delle ore https://www.comunitadiaconalesalerno.it/liturgia-delle-ore/ https://www.comunitadiaconalesalerno.it/liturgia-delle-ore/#respond Mon, 08 Feb 2021 09:28:12 +0000 http://www.comunitadiaconalesalerno.it/?p=2681 La liturgia delle Ore è organizzata in vari Uffici. Ogni Ufficio è previsto per un particolare momento della giornata, proprio per santificarla tutta. Le due Ore principali sono: Lodi mattutine e i Vespri. Le Ore minori sono: l’Ufficio delle letture; l’Ora media e la Compieta. Per cui la successione temporale delle Ore nel corso della […]

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La liturgia delle Ore è organizzata in vari Uffici. Ogni Ufficio è previsto per un particolare momento della giornata, proprio per santificarla tutta.

  • Le due Ore principali sono: Lodi mattutine e i Vespri.
  • Le Ore minori sono: l’Ufficio delle letture; l’Ora media e la Compieta. Per cui la successione temporale delle Ore nel corso della giornata è:
    • Ufficio delle letture (non è legato a un’ora prestabilita, ma può essere celebrato
      in qualunque ora della giornata).
    • Lodi (si celebrano all’inizio della giornata).
    • Ora media (terza, sesta e nona che corrispondono alle ore9, alle 12 e alle 15).
    • Vespri (si celebrano la sera, solitamente all’imbrunire).
    • Compieta (prima di andare a dormire).

Un laico può scegliere le ore della liturgia che desidera celebrare.
Normalmente si celebra una sola Ora media (solitamente solo i Religiosi celebrano tutte e tre le ore medie).
Si suggerisce di recitare l’Ufficio corrispondente all’Ora che si sta vivendo, ciò non toglie che “per cause contingenti” si possa recitare l’Ufficio anche in altri momenti.

Significato delle singole Ore

Ufficio delle letture

Non è legato a un’ora prestabilita, ma può essere celebrato in qualunque ora della giornata. L’ora più indicata sarebbe la mattina presto (questo Ufficio ha infatti sostituito l’Ora prima che veniva recitata a mezzanotte) prima delle Lodi. Un altro momento adatto potrebbe essere prima della Compieta. Dopo i 3 Salmi si leggono 2 letture “lunghe”. La prima è un brano della Bibbia e la seconda è un passo patristico o un documento della Chiesa o un brano tratto da uno scritto di un santo di cui si fa memoria quel giorno.

Lodi mattutine

E’ l’Ufficio della mattina. Le Lodi andrebbero recitate come preghiera d’inizio giornata. Dopo l’introito c’è un salmo, un cantico preso dall’A.T. e un altro Salmo. Poi c’è la lettura breve, il responsorio, la recita del Benedictus, la preghiera universale e il Padre nostro. I Salmi si sviluppano in un ciclo di 4 settimane: Ogni domenica ha la propria antifona al Benedictus (in genere richiama le letture della Messa) e la propria preghiera finale.

Ora media

Presenta 3 schemi da recitarsi in corrispondenza delle tre ore principali che nell’antichità scandivano il tempo:

  • l’Ora terza (le 9 del mattino), in cui si ricorda la discesa dello Spirito Santo nella Pentecoste;
  • l’Ora sesta (mezzogiorno), in cuisi ricorda la crocifissione;
  • l’Ora nona (le 15), in cui si ricorda la morte di Cristo.

Chi recita soltanto una di queste ore sceglie lo schema di quella che più si avvicina al momento della sua preghiera. L’Ora media inizia con 3 Salmi, che sono comuni alle tre ore. Solo se si recita più di una Ora nel corso della giornata, alla seconda Ora recitata si legge la salmodia complementare. Lettura breve e preghiera dipendono dall’Ora recitata. Sono distribuite in un ciclo di 4 settimane (con qualche eccezione nei tempi forti).

Vespri

Sono la preghiera della sera, più propriamente del tramonto. Dopo la lettura dei sue Salmi, c’è il cantico preso dal N.T. Segue la lettura breve, il responsorio, la recita del
Magnificat, la preghiera universale e il Padre nostro . I Salmi si sviluppano in un ciclo di 4 settimane. Ogni domenica ha la propria antifona al Magnificat (in genere richiama le letture della Messa) e la preghiera finale.

Compieta

E’ la preghiera del termine della giornata. Si recita prima di andare a dormire. Inizia con un Salmo (tranne i primi vespri della domenica e il lunedì in cui ci sono 2 Salmi brevi), che si recita dopo l’inno e un breve esame di coscienza sulla giornata, in moda da offrirla nella sua totalità al Signore. Segue la lettura breve, la recita del Nunc dimittis (Cantico di Simeone: Ora lascia…), la preghiera finale e si conclude con un’antifona alla Madonna. Quest’ultima può essere scelta tra quelle indicate. Nel periodo di Pasqua si deve recitare sempre il Regina coeli. Il ciclo è settimanale.

Le 4 settimane

La settimana liturgica ha inizio al tramonto di sabato, con “Primi Vespri della domenica” (non esistono i Vespri del sabato), e termina con l’Ora media del sabato successivo. I 150 Salmi sono distribuiti in quatto settimane.

Simboli

Nel testo dei Salmi noterete alcuni segni tipografici. Servono principalmente per la celebrazione comunitari, sia recitata che cantata. Eccone la spiegazione.

*: l’asterisco indica una pausa lunga. Nel caso di salmodia cantata indica la fine della prima parte della frase musicale;

+: la croce di colore nero indica una pausa breve. Nel caso di salmodia cantata indica che c’è una flessa;

+: la croce di colore rosso indica la che recita del Salmo si comincia o si termina direttamente dopo questo simbolo, poiché i versetti precedenti o successivi svolgono la funzione di antifona;

: la .freccia indica che il paragrafo continua nella pagina seguente. Nel caso di recita a cori alterni, chi sta leggendo prosegue anche nella pagina successiva, cioè non c’è cambio di voce.

Chiaramente i primi 3 segni si possono seguire anche nella recita privata. Non il quarto.

Piccole gestualità

Si traccia un segno di croce:

  • sulle labbra all’inizio dell’invitatorio,alle parole: ”Signore apri le mie labbra”;
  • all’inizio delle Ore, quando si dice: “ O Dio vieni a salvarmi”;
  • all’inizio dei cantici: 2 Benedictus, Magnificat, Nunc dimittis”;
  • al termine dell’Ufficio.

– Si china il capo mentre si recita il Gloria alla fine dei Salmi e dei cantici.
– Nella celebrazione comunitaria si rimane in piedi:
> dall’inizio dell’Ufficio fino alla fine dell’inno;
> secondo le consuetudini quando si recita il Gloria alla fine dei Salmi e dei
cantici (durante la salmodia si sta seduti);
> dal cantico del Benedictus, Magnificat, Nunc dimittis sino alla fine
dell’Ufficio.

I Salmi

La liturgia delle Ore è basata soprattutto sui 150 Salmi che costituiscono il Salterio. Essi sono un’altissima scuola di preghiera, in quanto ispirati dallo Spirito Santo, e con grande semplicità e passione, descrivono l’amicizia tra Dio e l’uomo: Insieme a generazioni di credenti li recitiamo perché nei Salmi Dio ci parla, ci fa parlare, ci insegna a parlare con Lui.
I Salmi sono preghiere che coinvolgono l’uomo in tutti gli aspetti della sua vita: nell’invocazione, nel lamento, nella lode, egli prende consapevolezza della sua dignità di figlio di Dio e impara con Cristo a riconoscere ovunque e sempre, in ogni situazione della storia, il volto del Padre. Nel Libro dei Salmi, pertanto, c’è la storia dell’uomo, di ogni sua età e di ogni sua vicenda.

I Salmi sono la preghiera di Cristo

Fin dalle origini la Chiesa ha pregato i Salmi perché essi sono stati la preghiera di Cristo stesso. Egli li ha pregati nell’assemblea liturgica del suo popolo e nel suo colloquio segreto con il Padre; grazie ad essi ha saputo discernere la volontà del Padre su di Lui e trovare luce per la sua missione; ha avuto una tale familiarità con i Salmi che li ha citati nel suo insegnamento più di ogni altro testo della Sacra Scrittura. . 3 .
I Salmi sono dunque preghiera di Cristo, ma anche della Chiesa, poiché in essi pregano il capo che è Cristo e il corpo che è la Chiesa (cfr. Ef 1,22-23; Col 1,18): Per cui la stessa persona, Gesù Cristo, è colui che prega per noi, che prega in noi e che è pregato da noi. Prega per noi come nostro sacerdote; prega in noi come nostro capo; è pregato da noi come nostro Dio. Riconosciamo dunque in Lui la nostra voce, e in noi la sua voce. Il cristiano che prega i Salmi per Cristo, con Cristo e in Cristo vede così diventare sempre più preghiera sua la preghiera di Cristo, e voce sua la voce di Cristo; egli impara ad avere in sé sempre di più lo stesso sentire che fu in Cristo Gesù (cfr. Fil 2,5), crescendo verso la statura di Cristo (cfr. Ef 4,13).
La Chiesa, inoltre, prega i Salmi perché sono stati la preghiera quotidiana degli Apostoli e degli autori del N.T. che in essi hanno riconosciuto la profezia degli eventi della passione, morte e resurrezione del Messia.
Ben presto questi testi sono stati usati nella preghiera ufficiale della Chiesa: queste grida di lode, di supplica o di ringraziamento, anche se composte dai salmisti in circostanze tipiche della loro epoca e della loro esperienza personale, hanno una risonanza universale, perché esprimono l’atteggiamento che ogni uomo deve avere di fronte a Dio.

I Salmi nella Liturgia delle Ore

Quella dei Salmi non è una preghiera facile e la Chiesa ne ha sempre avuto coscienza. Per questo due elementi hanno contribuito molto a far comprendere i salmi e a trasformarli in preghiera cristiana: i titoli e le antifone.
Il titolo è un breve enunciato, in rosso tondo, posto dopo il numero di ogni Salmo, che indica il genere letterario e riassume il contenuto. Esso consente una prima comprensione del testo oggetto della preghiera: se è un Salmo di lode, una supplica, un componimento di carattere sapienziale…Sotto il titolo, in corsivo nero, viene riportata una frase desunta dal Nuovo Testamento, dai Padri della Chiesa o da qualche scritture ecclesiastico. Essa ha lo scopo di sottolineare il senso cristologico e messianico del Salmo e la sua attualità. Così si passa dal senso letterale, richiamato nel primo titolo, al senso cristiano, o rilettura cristiana del Salmo. Per esempio:

Salmo 62,2-9 L’anima assetata del Signore
La Chiesa ha sete del suo Salvatore, bramando di dissetarsi alla
fonte dell’acqua viva che zampilla per la vita eterna (cfr. Cassiodoro)

2 O Dio , tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco,*
Di te ha sete l’anima mia,
a te anela la mia carne,*

I due titoli, che hanno un carattere ufficiale e strettamente liturgico, non sono proposti per la lettura pubblica, però offrono un prezioso aiuto in prospettiva cristiana. Una rapida lettura mentale di questi titoli ci aiuta a entrare nel Salmo.
Un altro elemento utile sono le antifone, che introducono e concludono il Salmo. Si tratta del mezzo più quotidiano per orientare la preghiera del Salmo, nel momento o situazione (giorno, festa, ora) in cui viene pregato; l’antifona coglie il messaggio centrale del Salmo e lo inserisce nel momento di preghiera. Essa giustifica perciò la scelta del Salmo, richiama il tema di fondo, dandone la lettura cristiano-ecclesiale, e insieme l’attualizza. . 4 .
Anche il Gloria al Padre, che conclude ogni salmo, è un tentativo di cristianizzazione dei Salmi con uno spiccato orientamento trinitario (in uso a partire da V secolo).
Un’altra difficoltà che chi salmeggia potrebbe avvertire è quella legata alla differenza del proprio stato d’animo rispetto a quello espresso nel Salmo, come accade quando chi è triste e nell’angoscia incontra un Salmo di giubilo o, al contrario è felice e si trova di fronte un canto di lamentazione. Ma se ciascuno tiene presente che chi recita i Salmi nella Liturgia delle Ore, li recita non tanto a nome proprio quanto a nome di tutto il corpo di Cristo, anzi nella persona di Cristo stesso, svanisce anche questa difficoltà.
Non fermiamoci alla soglia dei Salmi, perché pensiamo che siano una preghiera ostica, vecchia, chiusa, ma entriamo in questo meraviglioso mondo per gustarli e deliziarci della loro bellezza.
Impariamo a cercare Dio nei Salmi ogni giorno, facendo di essi un aiuto potente nella nostra preghiera quotidiana, per imparare ad affrontare la vita accompagnati dalla Parola di Dio.

 

Diac. Francesco Giglio

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Una Chiesa tutta ministeriale: dal laicato al diaconato https://www.comunitadiaconalesalerno.it/una-chiesa-tutta-ministeriale-dal-laicato-al-diaconato/ https://www.comunitadiaconalesalerno.it/una-chiesa-tutta-ministeriale-dal-laicato-al-diaconato/#respond Mon, 08 Feb 2021 07:49:51 +0000 http://www.comunitadiaconalesalerno.it/?p=2677 Una Chiesa tutta ministeriale : I Laici nel mondo e nella Chiesa. Dal laicato al Diaconato Uno dei tanti meriti del Concilio Vaticano II è stato senza dubbio la riscoperta del ruolo dei laici nell’ambito della Chiesa. Quando si parla di ” Laici ” si intendono tutti i fedeli (eccetto i consacrati e coloro che […]

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Una Chiesa tutta ministeriale : I Laici nel mondo e nella Chiesa.
Dal laicato al Diaconato

Uno dei tanti meriti del Concilio Vaticano II è stato senza dubbio la riscoperta del ruolo dei laici nell’ambito della Chiesa.
Quando si parla di ” Laici ” si intendono tutti i fedeli (eccetto i consacrati e coloro che hanno ricevuto l’Ordine Sacro ) che dopo essere stati incorporati a Cristo nel Battesimo e costituiti ” Popolo di Dio ” , compiono nella Chiesa e nel mondo la missione specifica del Popolo di Dio.
Il Concilio , più che badare alla Chiesa clericale , con tutto il giuridicismo che affiora nelle funzioni di autorità e di sudditanza , considera la Chiesa nell’aspetto totale di Popolo incamminato nella universale vocazione alla santità . In questa comunità ecclesiale carismatica , le mansioni ,sono ordinate più secondo il mistero della carità , che non secondo la dicotomia del comando e dell’obbedienza.
La Chiesa nel Concilio ha trascurato il superfluo , riscoprendo meglio la Sua autentica natura di ” mistero ” , per meglio adempiere la Sua missione salvifica nel mondo moderno.
Per l’approfondita coscienza di essere Corpo di Cristo , essa percepisce di potersi inserire attivamente nel pluralismo ideologico contemporaneo , stabilendo un dialogo proficuo con i popoli ; si è sentita maggiormente orientata a donarsi al compito di evangelizzazione e di salvezza , che il Cristo le ha affidato.

La Chiesa è il Popolo di Dio , scelto e chiamato dal mezzo del mondo per opera di Cristo .
L’idea di Popolo di Dio introduce nella realtà ecclesiale qualche cosa di dinamico . Questo Popolo ha una vita che continuamente si snoda e si evolve ; esso è in cammino verso un termine fissato da Dio . Eletto e formato da Dio , mediante la Rivelazione e i Sacramenti , il Popolo di Dio è nel mondo come il segno del Salvatore ; è come il Sacramento della salvezza offerta a tutti gli uomini.
Al pari del clero e dei religiosi , anche i laici entrano a far parte del Popolo di Dio .
La Chiesa intera si costituisce in una unica comunità , che vive nell’intimità di Cristo , integralmente orientata verso l’amore del Padre.
Tuttavia , nel Popolo di Dio non esiste una presenza universale indifferenziata dei membri . I laici ( ad esempio ) costituiscono il Popolo di Dio in aspetti e modalità del tutto proprie ; vi esplicano mansioni particolari e caratteristiche .
Nei nostri tempi si è avuto la riscoperta teorica e pratica della insostituibile funzione dei laici nella Chiesa . Da tutti si avverte la necessità di approfondire la missione del laicato e di farne prendere coscienza alla comunità dei fedeli . Il Concilio ha recato un grande contributo alla precisazione del compito cristiano ed ecclesiale dei laici.
Il concetto di laico può essere delineato in un duplice modo:

  • Dal lato giuridico-canonico il concetto di laico viene riportato a quello di chierico e di religioso . Un concetto negativo , in quanto si limita ad indicare che il laico non è ne sacerdote , ne religioso . Il laico si distingue dal sacerdote , giacché non è persona destinata e consacrata ad un ministero pastorale ; si distingue dal religioso , giacché non sacrifica ne estromette dalla sua vita le realtà profane , ma le usa con spirito caritativo interiore.
  • Dal lato teologico , invece , si cerca di definire il laico non per ciò che non è nella Chiesa , ma per la sua posizione e missione in essa ; lo si rappresenta non come un tollerato , ma come un autentico membro del Popolo di Dio , che permane inserito nella vita del mondo .
    Il Concilio preferisce il significato positivo teologico di laicato , anche per poter poi trarre e dedurre la natura ecclesiale della sua missione , ed indicarne con sicurezza i doveri spirituali ed apostolici fondamentali . ” Con il nome di Laici si intendono … tutti i fedeli , che , dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti Popolo di Dio e , nella loro misura , resi partecipi dell’ufficio sacerdotale , profetico e regale di Cristo , per la loro parte compiono nella Chiesa e nel mondo , la missione propria di tutto il popolo cristiano ” (Cost. Lumen Gentium – cap. IV,n° 31 ) .
    In questa nozione di laico si notano due elementi essenziali .
  • Il primo aspetto che caratterizza il laico è la sua ” ecclesialità ” ; è membro della Chiesa . Ogni stato cristiano si inquadra entro la visione ecclesiologica . E poiché l’appartenenza alla Chiesa comporta una partecipazione all’essere e alla missione di Cristo , lo stato ecclesiale del laico si traduce e si esprime nella dimensione cristologica .
    I cammini di vita e gli stati nella Chiesa altro non possono essere che modi di seguire Cristo .
    Mediante il Battesimo il laico è divenuto membro dell’unico Popolo di Dio , la cui nota spirituale è ” essere e crescere in Cristo ” ( 1 Cor. 12,4 ) .
  • Il secondo elemento che caratterizza la nozione di laico è il fatto che esso è chiamato a vivere la sua ecclesialità in modo secolare ; è inserito personalmente e socialmente nella vita profana ; espleta la sua missione cristiana fra le realtà terrene . Essere laici nella Chiesa significa ” far parte della missione di Dio nel mondo ” .
    Posti nelle condizioni ordinarie della vita familiare e sociale , implicati in tutti gli affari del mondo , essi devono trattare le cose temporali e ordinarle secondo Dio ; devono impregnarle di spirito caritativo . ” Ivi sono da Dio chiamati a contribuire , quasi dall’interno a modo di fermento , alla santificazione del mondo mediante l’esercizio del proprio ufficio e sotto la guida dello spirito evangelico , e , in questo modo , a manifestare Cristo agli altri , principalmente con la testimonianza della loro stessa vita , e con il fulgore della loro fede , della speranza e carità ” ( Lumen Gentium IV,31) .
    Se la nota di ecclesialità il laico la vive in comune col sacerdote e con il religioso , quella di secolarità gli è propria e specifica e tuttavia , non in modo esclusivo . Difatti la missione del laico è determinata dai Sacramenti del Battesimo e della Cresima o Confermazione , Sacramenti che stanno a fondamento dello stesso Ordine sacerdotale .
    E’ opportuno parlare di accentuazione di aspetti presso il laico più che di mansioni esclusive. Certo che prete e monaco , quando si donano ad una attività profana , dovrebbero ricordarsi che pubblicamente questa esige una testimonianza di tipo laicale .
    Lo stato del laicato è così inquadrato entro la visione ecclesiologica ; esso è un riflesso ed insieme aspetto integrante della perfezione della Chiesa , ancora peregrinante ” fra le varietà mondane ” . Sarebbe erroneo identificare la condizione del laico con la relazione ad extra della Chiesa verso il mondo temporale ; come se egli fosse un ponte tra la Chiesa ed il mondo .

I Laici sono la Chiesa nel mondo

Per la loro opera la Chiesa non viene posta di fronte al mondo , ma è intimamente presente in esso . Per lo stato secolare la Chiesa rimane nel mondo ed è vincolata alla sua sorte ; la sua missione pasquale è innestata nella realtà dell’incarnazione .
La missione e la santità del laicato costituiscono anche una parte dell’aspetto visibile della Chiesa.
I laici , quindi , sono membri di una comunità ecclesiale organizzata , con propria gerarchia e mansioni differenti . I laici godono della dignità del Popolo di Dio , la quale e fondamentalmente unica per tutti i membri del Corpo mistico . Non solo non hanno significato in Cristo e nella Chiesa la stirpe o nazione , la condizione sociale o il sesso , ma le stesse differenti mansioni ecclesiali sono donate per una identica missione apostolica . ” Vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il Corpo di Cristo ” ( Lumen Gemtium IV,32 ) .
Se tutti i membri della Chiesa sono chiamati ad una identica missione missionaria , è perchè essi possiedono in comune la medesima vita in Cristo . Anche quelli che nella Chiesa svolgono il ministero pastorale e vi esprimono un potere di comando sono , al pari dei laici , incorporati nel Corpo mistico ; sono rigenerati nello stesso Battesimo ; conoscono un solo Signore nella medesima fede ; hanno per fratello Cristo ; sono partecipi dell’unica carità ; in comune hanno la vocazione alla santità .
Il laico deve saper meditare sulla propria dignità nella Chiesa ; essa è insieme una vocazione ed un impegno . Non deve impigrirsi in uno stato passivo , perchè sa di non essere ne religioso ne sacerdote . Egli deve vedersi presente in Cristo e nella Chiesa ; avere responsabilmente coscienza di partecipare della dignità sacerdotale , profetica e regale di Cristo . ” Così nella varietà tutti danno testimonianza della mirabile unità nel Corpo di Cristo ; poiché la stessa diversità di grazie , di ministeri e di operazioni raccoglie in un sol corpo i figli di Dio , dato che – tutte queste cose opera un unico e medesimo Spirito -” ( 1 Cor. 12,11 – Lumen Gentium IV,32 ) .
Tutti i membri della Chiesa , secondo le possibilità della personale situazione , sono chiamati a concorrere all’incremento della Chiesa e alla Sua continua ascesa alla santità . Pure i laici devono sentirsi impegnati in modo costante e generoso alla diffusione del Regno di Dio .
Il fondamento primo della missione apostolica del laico non sta nella scarsità del clero o nell’impossibilità per il sacerdote di penetrare in alcune strutture temporali ; esso si radica nello stesso essere laico , qual’è plasmato dai Sacramenti . I Sacramenti sono le sorgenti del diritto-dovere dell’apostolato entro la Chiesa , giacché essi stanno alla base di un ordine ontologico (grazia) e del dinamico-operativo (verità infuse) . Attraverso i Sacramenti il Signore chiama il laico ad una missione apostolica ; ne impegna una risposta responsabile mediante il dono della grazia.
Mediante il Sacramento del Battesimo il laico è inserito vitalmente nella Chiesa ; viene incorporato nel Corpo mistico . Il battezzato , per carattere e grazia ricevuti , è consacrato all’edificazione e alla crescita del Corpo integrale di Cristo .
La consacrazione battesimale si diffonde su tutta la vita del laico , ma in modo generico . Sono necessari gli altri Sacramenti , che santificano determinati settori della vita , impegnando i cristiani in questi settori ad un apostolato più profondo e specifico ; Sacramenti che completano e sviluppano il Battesimo , esplicitandone la fondamentale e generale deputazione all’apostolato .
E’ necessario schiarire la coscienza dei laici , affinché conoscano ed apprezzino la dignità-missione a cui sono stati elevati . Sviluppando in se stessi la pienezza ecclesiale , sapranno rivelare la Chiesa nel loro impegno temporale ; approfondendo il loro ” essere Chiesa ” e la loro vita in Cristo , consentiranno all’estraneo ( ateo , agnostico o tiepido ) di incontrare in loro la Chiesa di Cristo . L’incontro tra Chiesa e mondo avviene nel cuore e nel gesto del laicato o non avviene proprio.
Molte volte l’attività dei laici condiziona la stessa attività della Chiesa. La peculiarità del laico è la testimonianza di una vita cristiana fondata sul Vangelo . Un compito questo quanto mai impegnativo nella situazione di cambiamento in cui versa l’attuale società .
L’impegno consiste nel mantenere vivi alcuni valori ( la vita , l’uomo , la religione , la morale , la famiglia , ecc… ) in una società che inculca nelle persone non la gioia di vivere , la pace , ma la nausea ed il pessimismo , la stanchezza e la violenza , la depressione .
La Chiesa pone molta fiducia nei laici , perchè -afferma papa Paolo VI- , il loro apostolato ” assicura una presenza , una testimonianza qualificata ed efficace della Chiesa in seno al mondo contemporaneo .(…) il campo è immenso : è tutto l’ordine temporale che bisogna contribuire a rinnovare nel senso voluto dal Creatore e dal Salvatore .(…) Le attese del mondo sono multiple : provatevi a fare l’inventario in questi giorni . E’ certamente interessante analizzare i bisogni umani che ciascuno scopre . Ogni laico cristiano ha un ruolo difficile , ma anche magnifico da compiere . L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che non i maestri , o se ascolta i maestri , è perchè sono dei testimoni . E’ vostro onore essere testimoni di Cristo , nel cuore delle attività secolari . Ma in un mondo sovente lontano dalla Fede , questa testimonianza di tutta la vita è esigente . Essa suppone che voi alimentiate senza sosta la vostra convinzione ed il vostro zelo alle sorgenti della Fede e della Grazia : dall’ascolto della Parola di Dio , nella preghiera e con i Sacramenti , in una costante revisione di vita . Dalla vostra intera fedeltà dipende la qualità del lievito che voi siete chiamati ad inserire nella pasta del mondo .
Infine la vostra testimonianza prende posto nella comunione della Chiesa nel dialogo sincero , nell’adesione fiduciosa , nella vera collaborazione con i vostri Vescovi ed i sacerdoti . Nella Chiesa vi è diversità di ministeri , ma unità di missione ; vi è diversità di doni , di necessità , di metodi e di settori da evangelizzare , ma uno solo è lo Spirito che agisce in tutti , per la gloria di Dio e la santificazione degli uomini “.
I laici che hanno scoperto il loro giusto posto nella Chiesa vogliono viverlo in pienezza . Di conseguenza , la loro risposta al riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa è una rivitalizzazione dei gruppi già esistenti e la nascita di altri .
Nell’enciclica ” Redemptor Hominis ” del papa Giovanni Paolo II c’è scritto , parlando di collegialità e apostolato , che anche ” tra i laici si sta diffondendo uno spirito di collaborazione e di corresponsabilità , confermando non soltanto le organizzazioni dell’apostolato laicale già esistenti , ma creandone delle nuove , aventi un profilo diverso ed una dinamica eccezionale . I laici -continua il papa- consapevoli della loro responsabilità dinanzi alla Chiesa , si sono impegnati volentieri nella collaborazione con i Pastori , con i rappresentanti degli Istituti di vita consacrata , nell’ambito dei Sinodi diocesani o dei Consigli Pastorali nelle parrocchie e nelle diocesi ” (Redemptor Hominis n° 59) .
L’appello più evidente e sicuro è che Cristo chiama ogni uomo alla cooperazione ed alla edificazione del Regno . Di conseguenza dovrebbe nascere nei laici la volontà di scoprire il loro giusto posto nella Chiesa e di vivere questa scoperta nella pienezza della Fede , e nella convinzione che più si è penetrati di spirito evangelico più si potrà contribuire all’opera della salvezza iniziata da Cristo .
Oggi un numero , sempre più grande di battezzati sta prendendo coscienza di questa responsabilità totale e continua della propria capacità di servire nella Chiesa e di inserirsi , come segno d’amore e come fermento evangelico , nel mondo .
La creatività della Chiesa primitiva , fedele a Cristo nelle comunità vive , è davvero in sintonia con le esigenze ed i desideri dei nostri tempi , infatti è segno positivo il sorgere di nuovi ministeri nella Chiesa .
Poiché la parola spesso non è chiara nel suo significato autentico , è il caso di precisare che ogni ministero è servizio ; ma che non ogni servizio ecclesiale è ministero .
Il servizio intende le varie opere o iniziative di singoli o di gruppi prestate in particolari o momentanee situazioni ; mentre il ministero è un fatto duraturo riconosciuto dal Vescovo.
Questi ministeri istituiti , rispondendo alle necessità della Chiesa , vengono conferiti dal Vescovo mediante nomina e spesso con particolare rito liturgico .
Il primo ministero oggi importante nella Chiesa è quello del ” catechista ” quale punto di partenza per la costituzione di una Chiesa tutta ministeriale e non di servizio .
Spetta al catechista approfondire la propria Fede per poi esserne annunziatore con la parola e con la vita . E’ grande la responsabilità di questi laici uomini e donne ,che si assumono l’impegno di iniziare i fanciulli all’incontro con il Cristo , il Vangelo e la Chiesa .
Intorno a loro dovrebbe essere polarizzata l’attenzione di tutta la comunità , affinché con la preghiera ed il sostegno morale , i catechisti abbiano sempre la volontà e la capacità di crescere ed educare gli altri alla Fede della Chiesa .
Nel 1971 nel III Sinodo dei Vescovi si ribadiva la necessità della rinascita dei ” Ministeri laicali ” e con il motu prorpio Ministeria quaedam ” di Paolo VI (del 15/08/1972 ) venivano istituiti due ministeri : il Lettorato e l’Accolitato .
Nel 1973 furono infine istituiti i Ministri straordinari dell’Eucarestia ( in seguito definiti Ministri Straordinari della Comunione ) , per la sola distribuzione della Santa Comunione , a cui possono accedere uomini e donne .
Nasceva così il senso della ministerialità laica che partendo dalla figura del catechista arriva ad essere un vero e proprio “Ministero ordinato ” nella figura del ” Diacono ” .
Per raggiungere il quindi il Diaconato è necessario intraprendere un cammino di formazione che ha come finalità quella di acquisire una specifica formazione spirituale , dottrinale e pastorale .
Come l’annuncio della Fede che dal Vescovo passa al Presbitero e da questi al catechista , così la proclamazione della Parola di Dio , ma non il Vangelo , nell’assemblea liturgica spetta al Lettore nella sua qualità di ” ministro istituito ” . Questo ministero segna il gesto concreto di quanti vogliono impegnarsi , oltre che nelle celebrazioni liturgiche , anche nell’organizzazione evangelizzatrice e catechistica .

Dopo il Lettorato , si accede all’Accolitato

E’ compito dell’Accolito curare il servizio all’altare , aiutare il Diacono ed il Sacerdote nelle azioni liturgiche , animando la comunità e curandone la formazione liturgica e biblica . Tutto il suo ministero ,però , deve essere circondato da un’ardente pietà eucaristica ed un sincero amore per il Corpo di Cristo , il popolo di Dio , i deboli ed i malati .
Si concretizza così la figura del Diacono , il quale risulta essere il laico convinto che partendo dalla scelta del suo posto nella Chiesa , ha scoperto attraverso il passaggio da catechista ad Accolito , il senso del ministero ordinato .
Il ministero del Diacono , è il primo gradino dell’Ordine Sacro , che dopo aver svolto un ruolo importantissimo nella Chiesa primitiva , oggi ritorna , più che mai attuale , come ” Ministero permanente ” dopo il Concilio Vaticano II .
Al Diacono , il Vescovo , impone le mani ” non per il sacerdozio , ma per il ministero ” .
In virtù dell’ordinazione , spetta al Diacono amministrare il Battesimo , conservare e distribuire l’Eucarestia , assistere e benedire il Matrimonio , portare il Viatico ai moribondi , leggere la Sacra Scrittura , istruire ed esortare il Popolo di Dio , presiedere al culto e alla preghiera dei fedeli , amministrare i sacramentali , presiedere al rito funebre e della sepoltura .
Con questi ministeri , si è riallacciata la catena del Popolo di Dio che vede tutti ,Papa , Vescovi , Presbiteri e Laici uniti nel comune sforzo di edificare il Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. Tuttavia bisogna stare attenti a non creare confusioni di ruoli , di carismi e di ministeri . Tutto nella Chiesa deve essere ordinato per l’annunzio del Regno e per la salvezza dell’uomo . Il vertice di tutto resta il ” Sacerdozio ” ed i laici anche usando di tutti i ministeri ordinati e non , debbono sempre alimentare nel Popolo di Dio l’esigenza e la necessità di far nascere vocazioni sacerdotali , altrimenti il Corpo di Cristo rischia di rimane incompleto .La Fede cristiana è essenzialmente obbedienza alla ” regola della dottrina ” trasmessa dagli Apostoli ( Rom. 6 , 17 ) ; obbedienza teologica-giuridica agli Apostoli nella Chiesa fondata su di loro . I cristiani si qualificano mediante l’obbedienza ; sono ” figli dell’obbedienza ” ( 1 Pt. 1 , 14 ) ; santificati dallo Spirito ” per obbedire ” ( Pt. 1 , 2 ) .

Per l’obbedienza l’anima del laico viene intimamente unita a Cristo ed esercita le fondamentali virtù cristiane ; si apre alla visione del bene comune ; introduce la sua piccola storia individuale nella grande storia ecclesiale , assumendo le responsabilità della vita comunitaria cristiana . Non solo il laico deve vedere Cristo nella Gerarchia ecclesiastica , ma anche questa deve scorgere il cristiano come membro vivo del Corpo mistico .
L’autorità ecclesiale deve ascoltare i consigli del laicato , affidargli delle responsabilità nella Chiesa , rispettandone la doverosa autonomia :
Il Laico deve lasciarsi guidare dallo spirito interiore anche nei suoi rapporti con l’autorità ecclesiastica . Egli è chiamato a collaborare attivamente con la Gerarchia non solo con il sacrificio , con la sua obbedienza e con la preghiera , ma anche con iniziative personali e con la sua critica costruttiva .
” Da questi familiari rapporti tra Laici e Pastori si devono attendere molti vantaggi per la Chiesa : in questo modo infatti è fortificato nei Laici il senso della propria responsabilità ne è favorito lo slancio e le loro forze più facilmente vengono associate all’opera dei Pastori … E così tutta la Chiesa , sostenuta da tutti i suoi membri , compie con maggiore efficacia la sua missione per la vita del mondo ” ( Lumen Gentium , cap. IV , 37 ) .
In conclusione , si devono invitare i laici ad acquistare sempre più coscienza ” non solo di appartenere alla Chiesa , ma di essere la Chiesa ” ( Pio XII ) inviata presso l’umanità peregrinante . Vivendo in se stessi intimamente il mistero della Chiesa , devono creare una vitalità promotrice entro e fuori la comunità ecclesiale e palesare la carità ecclesiale e la Verità rivelata presso gli uomini e le realtà del proprio tempo .
Poiché , tutti partecipano , in forza del Battesimo , al Sacerdozio di Cristo che nella Sua Chiesa si espleta attraverso ruoli e compiti ben precisi , spetta a tutti i suoi membri : credere in ciò che proclamano , insegnare ciò che credono , vivere ciò che insegnano .

Diac . Francesco Giglio

 

Bibliografia

  • Lumen Gentium – Costituzione dogmatica sulla Chiesa
  • A. Tisi – Il Diacono permanente , Ed. Dottrinari , Salerno 2a Ed. 1985
  • A. Oberti – Il Concilio e i laici , Ed. Ancona , Milano 1964
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  • G. Lazzati – Maturità del laicato , Ed. La Scuola , Brescia 1962
  • D. Mongillo – I laici . Temi di predicazione , Ed. Domenicane Italiane, Napoli 1965
  • G. Philips – I laici nella Chiesa , Ed. Vita e Pensiero , Milano 1956
  • D.J. Laliement – L’impegno temporale del cristiano , a cura di T. Goffi , Ed. Vita e pensiero , Milano 1962
  • G. Lercaro L’apostolato dei tempi nuovi , Ed. Ave , Roma 1964
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  • I laici cura di T. Goffi , collana Chiesa Viva, Ediz. Sales , 2a Ed. , Rma 1966

 

L'articolo Una Chiesa tutta ministeriale: dal laicato al diaconato proviene da Comunità Diaconale Diocesi di Salerno, Acerno, Campagna.

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Messaggio dei Vescovi della Campaniaai presbiteri e a quanti sono impegnati nella difficile ripresa delle attività pastorali

Carissimi,in continuità con la “lettura sapienziale del tempo presente”, offerta nello scorso luglio, avvertiamo il bisogno, in questa faseche è segnataancora dall’assedio dell’epidemia, didire una parola amica, che incoraggi a guardare il futuro con speranza. Vorremmo raggiungere tutti voi,presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate,laicie laiche,che sieteimpegnati nella difficile ripresa delle attività pastorali.1.«Sentinella, quanto resta della notte?»(Is21,11). Questo testo di Isaia ha due punti che vanno tenuti ben presenti: la sentinella, immagine del profeta che legge la storia in anticipo rispetto agli altri, e la notte che rimanda al dramma di una storia che nemmeno il profeta riesce a penetrare. Lacondizione così delineata ha molti punti di aggancio con la nostra attualità. La domanda sulla durata della notte ci appartiene; è la nostra domanda di oggi: quanto resta della notte?La crisi del Covid è stata come uno specchio per la Chiesa;essa ha rivelato quel che esisteva già: da una parte, la cura degli altri, il dinamismo, la creatività, ma, dall’altraanche l’inerzia, il ripiegamento su di sé, l’immobilismo davanti a nuove sfide.In questa“notte”in cui la vita delle nostre comunità è ancora parzialmente bloccata, restiamo ammirati dimolti di voi che hanno cercato di non perdere i contatti con i fedeli, anche attraverso forme nuove e creative. Rinnoviamo la riconoscenza a questi sacerdoti e operatori pastorali per la generosa disponibilità con cui, anche in questi mesi difficili, hanno saputo mantenere i contatti con le persone, in particolare i ragazzi e le loro famiglie, ricorrendo anche all’uso dei mezzi digitali. Li incoraggiamo a perseverare in questo cammino. Altri, invece, forse per la paura di possibili contagi, non hanno reagito all’immobilismo, magari attendendo che tutto passi. Invitiamo questi ultimi a non assumere un atteggiamento attendista.È vero: questo non è il tempo di fare programmi o di dare risposte, in quanto, come è stato detto, “siamo ancora sott’acqua”; ma è anche vero che bisogna evitare il rischio che, con il passare del tempo, il nostro popolo si disaffezioni, si “raffreddi”nell’appartenenza e nella partecipazione alla vita ecclesiale e si isoli sempre di più. Consigliamo, perciò, di riprendere con prudenza e coraggiocreativole attività

2pastorali, raccomandando, certamente,l’adozione delle misure di sicurezza, ma curando anche di non trascurare l’attenzione alle persone e alle relazioni.Lo spirito di questo nostro intervento è quello di dare entusiasmo e di trasmettere il messaggio che dobbiamo riprendere il cammino e rimetterci in gioco, senza attendere altri tempi. Diciamono all’“accidia”, che potrebbe far morire il cammino delle nostre comunità.Vi esortiamo ad avere uno sguardo di speranza, come ci ha invitato a fare Papa Francesco: «Per adorare il Signore bisogna anzitutto “alzare gli occhi”: non lasciarsi cioè imprigionare dai fantasmi che spengono la speranza, e non fare dei problemi e delle difficoltà il centro della propria esistenza. Ciò non vuol dire negare la realtà, fingendo o illudendosi che tutto vada bene. No. Si tratta invece di guardare in modo nuovo i problemi e le angosce, sapendo che il Signore conosce le nostre situazioni difficili… Quando fissiamo l’attenzione esclusivamente sui problemi, rifiutando di alzare gli occhi a Dio, la paura invade il cuore e lo disorienta»(Omelia nella Santa Messa nella Solennità dell’Epifania del Signore, 6 gennaio 2021).2.In questo tempo molti si aspettano dalla Chiesa che, attraverso la carità, sia vicina alle sofferenze della gente. L’abbiamo fatto e lo stiamo facendo: le nostre comunità ecclesiali, il nostro popolo hannoscritto, in questo periodo, una pagina di carità che resterà nella storia delle nostre Chiese. Come non ricordare qui il coraggio dei nostri sacerdoti, l’opera delle nostre Caritas, la generosità dei volontari, che hanno segnato, in maniera memorabile questi nostri giorni? Ma, ci chiediamo, la Chiesa è solo questo? È solo questo il suo compito in questo tempo di pandemia? Altri, soprattutto le Istituzioni, ci hanno chiesto di supportare l’azione dello Stato edi invitare i fedeli ad essere responsabili e ad adottare le misure di sicurezza. Durante il periodo del lockdownsi sono lette e sentite molte esortazioni dei responsabili ecclesiali a seguire le regole sanitarie. Ma, anche qui, la Chiesa è solo questo? È solo questo il suo compito in questo tempo di pandemia? Che cosaè stato manifestato del messaggio specifico che è proprio ai cristiani? Forse abbiamo rinunciato adire qualcosa di nostro, di evangelico, in questa situazione inedita e complessa? Esortiamo tutti ad esplicitare di più il nostro compito specifico in questa situazione: quello di offrire un supplemento d’anima, offrire un senso, dare un orientamento, indicare una rotta, una luce in questa notte che è scesa su di noi. Chi dona tutto questo è una Persona: Gesù Cristo.3.«Mi fu poi rivolta questa parola del Signore: “Che cosa vedi, Geremia?”.Risposi: “Vedo un ramo di mandorlo”. Il Signore mi rispose: “Hai visto bene:poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla”»(Ger1, 11-12). Con questo messaggio non intendiamo dare indicazioni concrete uguali per tutti, essendo diverse le situazioni delle nostre Diocesi e delle singole parrocchie, per spazi, operatori pastoralierisorse. Ma intendiamo offrire alcuni criteri a cui ispirarsi per affrontare questa fase nella vita pastorale delle nostre comunità.Secondo l’immagine usata dal profeta, questo è il tempo di generare “visioni”, cioè di fare

3spazio alla creatività, anche alla creatività pastorale.La ripresa delle attività pastorali è “necessariamente graduale e ancora limitata dalle misure di tutela della salute pubblica”, ma bisogna porre le condizioni “per aprirsi a nuove forme di presenza ecclesiale”(cf. Lettera della Presidenza CEI, 23 luglio2020).Ci sembra che, in questi mesi di emergenza sanitaria, siano emerse alcune priorità che proviamo ad indicarvi. «Tuci chiamiacogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta: … di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e versogli altri»Così diceva Papa Francesco in quella sera del 27 marzo. Anzitutto, reimpostare la rotta verso di Lui. La pandemia ha riportato a galla la verità profonda che tutte le cose sono precarie e transitorie. Questa crisi può essere l’occasione per riscoprire che nonostante tutto c’è un punto fermo da cui ripartire, e questo punto fermo è Dio. Questo è il tempo di rimettere “in auge”parole antiche che forse abbiamo dimenticato: la domanda sulla vita,sulla morte, sull’orizzonte ultimo della vita eterna. Pertanto, esortiamo le nostre comunitàa dare maggiore spazio, in qualsiasi forma,alla Parola di Dio, alla catechesi degli adulti.Esortiamo a riprendere i cammini di fede, soprattutto per l’iniziazione cristiana dei ragazzi, valorizzando le sapienti “Linee guida per la catechesi in Italia in tempo di Covid”, dal titolo “Ripartiamo insieme”, offerte dall’Ufficio Catechistico Nazionale nel giugno scorso.Si adotti un sapiente equilibrio tra la forma “in presenza” e la modalità online.«Le nuove tecnologie sono di grande aiuto per tenere i contatti e per svolgere attività ma non possono sostituire la ricchezza dell’incontro personale, della presenza … Iragazzi, i giovani e l’intera comunità hanno bisogno che le parrocchie, gli oratori, le scuole possano tornare il prima possibile a svolgere la loro funzione di contesti di crescita. Non ci potrà essere un ritorno improvviso alle condizioni di prima, ma fin d’ora tutti sono sollecitati a fare la propria parte, partendo da quello che questo tempo sta mettendo in evidenza»(Consiglio Permanente della CEI del 26 gennaio 2021).Come già indicavamo nel documento di luglio, tra le “cose nuove” sperimentate nel tempo della pandemia c’è la ripresa della preghiera in famiglia, che è opportuno continuare in tutte le sue forme.Nuovo spazio occorre dare al “prendersi cura” gli uni degli altri e a dare vita ad una nuova fantasia della carità.Cogliamo questo tempo per mettere in movimento un cammino di formazione degli operatori per il “dopo pandemia”.“Tutto è connesso”: l’emergenza sanitaria è strettamente connessa all’emergenza sociale e a quella ambientale. Esortiamo a vivere la prossima Quaresima offrendo nelle nostre comunità riflessioni e preghiere sulla Laudatosi’, a cui Papa Francesco ha dedicato quest’anno in corso.

44.Ci permettiamo, poi, di raccomandarvialcune sollecitudini:La centralità dell’Eucarestia domenicale: non possiamo accettare che si radichi nel nostro popolo la mentalità di ritenere che l’Eucarestia rientri tra i beni considerati non necessari, di cui si può fare anche a meno,né l’opinione secondo la quale “assistere”alla Messa in televisione sostituisca la partecipazione in presenza all’Eucarestia. Perciò, esortiamo vivamente i fedeli a partecipare all’Eucarestia domenicale, superando la paura e avendo fiducia sulle garanzie di sicurezza delle nostre chiese.Esortiamo anon trascurare il sacramento della riconciliazione, l’adorazione eucaristica e la preghiera personale; a tale riguardo, invitiamo vivamente i presbiteri a lasciare aperte le chiese.Esortiamo i pastori ad esprimere concreta vicinanza agli ammalati e alle famiglie colpite dallutto e dal dolore.Nella celebrazione delle esequiesi accolgano in chiesa anche i defunti “interessati dal Covid-19”, secondo le recenti disposizioni del Ministerodella Salute1. Si evitino accuratamente gli assembramenti.5.Rivolgiamo, infine, una parola ai sacerdoti.Quello che sta accadendo ci porta a ridare più spazio ad un aspetto del nostro ministero che è stato sempre presentemache oggi forse dobbiamo vivere con una consapevolezza rinnovata: pregare e intercedere per il popolo che ci è stato affidato. Questo appare oggi come il ministero più prezioso, il primo e fondamentale, dal quale trae forza ogni altro. Le circostanze ci spingono a tornare al posto che ci spetta, preferendo a tutto il resto la preghiera e l’annuncio del Vangelo (cfAt.6,4).Questo esige di farci carico delle domande e delle sofferenze della nostra gente. Solo se viviamo la vicinanza a loro, li potremo portare con noi nella preghiera e intercedere per loro.Un’ultima parola di incoraggiamento intendiamo indirizzarla ai nostri Seminari: seguiamo con particolare trepidazione gli sforzi che stanno facendo per assicurare la formazione dei seminaristi, nel rispetto delle prescrizioni sanitarie. Vi accompagnino il nostro sostegno e la nostra benedizione.Pompei, 2 febbraio 2021I

VOSTRI VESCOVI

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Filosofia come ancilla theologiae https://www.comunitadiaconalesalerno.it/filosofia-come-ancilla-tholagiae/ https://www.comunitadiaconalesalerno.it/filosofia-come-ancilla-tholagiae/#respond Mon, 09 Nov 2020 17:15:11 +0000 http://www.comunitadiaconalesalerno.it/?p=2247 Sarà nostro compito ardire di dimostrare quello che da secoli interessa, interpella e scalfisce la mente umana circa il fondamento da cui far partire, o meglio il fine a cui tendere per comprendere “di Dio”. Pensiero intrecciato lo ammetto, ma non può essere altrimenti: il limite della comprensione umana evidentemente non è capace di rendere […]

L'articolo Filosofia come ancilla theologiae proviene da Comunità Diaconale Diocesi di Salerno, Acerno, Campagna.

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Sarà nostro compito ardire di dimostrare quello che da secoli interessa, interpella e scalfisce la mente umana circa il fondamento da cui far partire, o meglio il fine a cui tendere per comprendere “di Dio”.

Pensiero intrecciato lo ammetto, ma non può essere altrimenti: il limite della comprensione umana evidentemente non è capace di rendere spiegabile ciò che è “inconoscibile”.

L’oggetto della nostra discussione sarà riferito alla filosofia intesa come ancilla theologiae, questo binomio sarà inteso in una relazione di circolarità così come è ben descritta al paragrafo 5 del III articolo del capolavoro di Fisichella OPORTET PHILOSOPHARI IN THEOLOGIAE ed al quale spesso rimanderemo per dar seguito a questo audace e ambizioso legame ancillare.

Alcune domande potrebbero essere poste:

1) Perchè questo legame è essenziale?

2) E’ possibile partire da un dato metafisico e porlo come oggetto di evidenza, studio e analisi?

3) Il non credente può riflettere sugli asserti oggetto della fede?

Alcune possibili questioni, queste, che potrebbero essere sollevate ed alle quali cercheremo di rispondere rivivendo il documento su indicato, ma anche chiamando in campo la nostra ragione, capace evidentemente di apportare un contributo sicuramente positivo a questa questione, o meglio alla necessità di questo legame.

Quesito n.1: il compito della ragione nei confronti del pensiero teologico

Permettere di comprendere attraverso il ragionamento logico, l’analisi storica (perché la storia è essenziale in questo contesto) e la facoltà potremmo dire naturale di intelligere, dei contenuti che necessitano di un percorso di ricerca speculativo al fine di essere intesi in maniera più chiara e senza fraintendimento alcuno. Detto in parole povere, la filosofia spiega la teologia. Ma questo significa che è in una condizione seconda rispetto ad essa? Di impeto risponderei SI, ma non mi è consentito farlo e forse nemmeno io lo credo realmente. La natura istintuale ci contraddistingue, e spesso tendiamo a delle conclusioni affrettate senza riflettere. La filosofia, intesa in questa accezione, è capacità di ragionare: è ratio o meglio ancora è riferita alla recta ratio. Essa non esamina in maniera distaccata e fredda il dato, ma è uno “scervellarsi” a comprendere ciò che la mente stessa, limitata dalla sua costituzione fisico/biologica vorrebbe negare.

Prima ho parlato della condizione di necessarietà, mi spiego meglio: è necessario filosofare, senza la filosofia non esiste ricerca e senza ricerca non esiste conoscenza, o quanto meno non riusciamo ad accedervi; come potete vedere quel “SI” netto che ho dato, evidentemente ha già avuto un piccolo ripensamento. Si, perchè la fede, o meglio il pensiero teologico necessita di un ragionamento, un filosofare, per essere compreso, detto e reso evidente. Lo dico in maniera ancora più semplice, la teologia chiama in causa la filosofia per farsi conoscere. Ma alcuni di voi potrebbero dire: “La filosofia allora serve solo a spiegare la teologia?” e ancora “ E’ solo al suo servizio?” rispondo “NO”, perché oltre ad avere la pretesa di rendere comprensibile, almeno secondo i modi di conoscere umani, la teologia ha anche il compito, non meno importante, di impostare un costrutto argomentativo di conoscenza nel soggetto che esperisce (fatemi passare vi prego questa espressione). La filosofia alimenta il desiderio di conoscenza della verità, indaga sul principio, sulle cause e nello specifico indaga su Dio e cerca di dimostrarne la sua esistenza.

Quesito 2: le preambula fidei

Al punto 67 della Fides et Ratio si parla di alcune verità che la ragione è capace di cogliere in maniera quasi naturale, ossia le preambula fidei, i segni certi dell’esistenza di Dio.

Ma quali sono? I miracoli, il linguaggio umano che vuole parlare di Dio, la conoscenza di Dio che si rende noto attraverso altri fenomeni, la dottrina dell’analogia di Tommaso che non posso esimermi dal citare.

E se ai miracoli non credo? La scienza moderna ci impone di non credere a ciò che non è possibile dimostrare. Ma allora il miracolo cos’è? Definiamolo così: il limite in cui si infrange la potenza conoscitiva dell’uomo, il risultato inatteso, inspiegabile che la sola ragione non riesce a comprendere e che “alcuni” vorrebbero negare a prescindere dall’evidenza. Da cristiano, so cosa è il miracolo per me e per chi crede, ma mi riservo di tenere questa consapevolezza per me. Da filosofo non credente, invece, mi devo almeno impegnare a porre in essere un percorso di ricerca speculativo che segue la stessa logica dello studio scientifico, ma come oggetto, stavolta, ha un elemento di ordine metafisico. Di ciò che non si conosce, o meglio, di ciò che la mente umana non comprende, non si può negare l’esistenza se tale esistenza è dimostrabile per altre vie.

Quindi penso di aver chiarito il discorso sul miracolo, il punto di maggiore scontro con il filosofo moderno che si rifà esclusivamente al dato empirico e non ammette “l’errore” che ogni tanto si può verificare.

Provo a schematizzare quello che ho detto:

A= persona miracolata

B= male incurabile

C= guarigione impossibile

D= guarigione avvenuta

Vediamo come collegherebbe questi elementi il logico empirista:

Se il soggetto A ha un male incurabile B è impossibile che avvenga la guarigione C

Ma invece si è verificato questo:

A ha B riceve la guarigione D

Come giustificherebbe la scienza questa condizione impossibile che si è verificata?

Innanzitutto incontra un limite inspiegabile, una barriera che può essere affrontata in due modi: ammettendo che esista qualcosa di cui non si conosce ancora l’esistenza e che ha innescato la guarigione, oppure non riesce a dare una risposta credibile e si arrampica su ipotetiche teorie.

Il cristiano cosa risponderebbe? Beh, lo sappiamo: Dio ha interceduto per lui e gli ha concesso la grazia.

Non è mia assoluta intenzione entrare in questo contesto, ma credo che da parte di una conclamata disciplina scientifica, razionale, certa e dimostrabile, delle risposte giustificative simili a quelle dette poc’anzi certamente non potrebbero avere nessun consenso tra le persone.

Il filosofare è l’attività di fondo che è alla base di ogni azione umana, sia essa sensibile, sia essa immanente al soggetto. Gli altri punti quali l’analogia, l’evidenza di Dio a partire ad esempio della creazione meritano un’attenzione più ampia; per il momento ci basta comprendere che evidentemente questa voglia affannata di ricerca e di voler comprendere, essendo comune a tutti, avendo quindi una matrice universale, si riferisce ad un qualcosa che è essenziale, costitutivo, ontologico, chiamiamolo come vogliamo, pur capendo che esiste in tutti il sentore e la voglia di trascendersi, di uscire fuori dal limite e dalla circoscrizione del mondo e dei suoi asserti troppo limitati per esaurire la nostra sete di conoscenza.

A bel leggere, si può comprendere come la filosofia e la teologia sono due condizioni necessitanti che vivono in una condizione di vicendevole interscambio. E’ ovvio che per il credente il presupposto di fondo è la rivelazione ed ancor di più la persona storica di Gesù di Nazareth; ma è anche vero che per altre vie il non credente tende a cercare e capire e tende ugualmente a raggiungere un fine, forse definito in modo diverso, forse contrario alla fede cristiana, ma comunque il succo del discorso non cambia. L’uomo ha bisogno di risposte a domande ancestrali e per avere tali risposte, ha bisogno di accedere a dei contenuti che lo trascendono.

Il legame tra teologia e filosofia è questo: trovare nel trascendente la chiave di volta dell’immanente. La chiave di volta adempie ad una funzione strutturale, per l’uomo questa struttura è Dio. Io lo chiamo Cristo, voi chiamatelo come volete, ma siate intellettualmente onesti.

Quesiti 3 e 4: La teologia come criterio negativo alla filosofia

Al paragrafo 50 della Fides et Ratio si parla del compito del magistero della Chiesa di indicare alle filosofie la strada da percorrere orientandole alla recta ratio ossia e cito direttamente dal documento «alla ragione che riflette correttamente sul vero». In questo senso la teologia avrebbe la pretesa di correggere la filosofia, anche questa prima analisi superficiale, come vedremo è falsa; andiamo analizzare il perché di questa infondatezza.

Quando la filosofia devia dal suo compito naturale, o meglio che le è più congeniale, percorre strade impervie, che pretendono di arrivare ad una finzione mascherata da verità; premetto che il discorso è più arzigogolato per chi non vuole far ricorso alla fede, ma il tempo e quindi l’evidenza storica hanno potuto ben constatare il punto di arrivo della filosofia profana, quando questa si è sganciata dalla fede,

chiudendosi nelle sue assolutizzazioni: si è sprofondati in delle derive di pensiero che purtroppo molte volte hanno inciso in maniera negativa sulle persone, portando a forme estreme come il totalitarismo, tanto per citarne una.

Il risultato ottenuto da queste filosofie è mancante della completezza, di un rigore logico che è possibile interpretare e soprattutto, cosa non meno trascurabile, il loro fine non tende alla realizzazione dell’uomo essendo deludente e chiuso in un ambito delimitato.

Alla fine l’imperfetto filosofo cerca una strada che, anche se nominata diversamente, rimanda inevitabilmente al sapere teologico che culmina per i cristiani, come abbiamo detto, nella Rivelazione.

L’ultimo quesito è la filosofia che incomincia “da se stessa”: evidentemente il testo virgolettato è segno di una evidenza di limite, di un qualcosa, come ho già detto, di monco se non trova il suo attributo fondativo nell’oggetto della teologia.

E’ vero pure che il riferimento a cui si intende non è questo, ma l’idea di un qualcosa di imperfetto (la filosofia) che possa dare origine ad un ragionamento autentico, evidentemente già appura una incongruenza di difficile solvibilità.

La filosofia per i primi padri della Chiesa ha una funzione apologetica, perché nulla ha da aggiungere a quanto è già perfetto. Voi siete d’accordo? Erano nell’errore? La storia come ha risposto?

Cerchiamo di dare noi una risposta: D’accordo? In parte si. Il carattere di perfettibilità è veritiero quando il risultato che produce nella persona che specula è vero, o meglio è dimostrabile. Senza l’evento storico di Cristo, la filosofia cerca un’origine, ma non la trova, e se la trova non riesce a spiegarla, almeno in maniera che sia compresa universalmente e soprattutto condivisa. Ma allora, tutte le scuole filosofiche che hanno attraversato i nostri secoli sono state inutili? Ci si poteva fermare alla filosofia cristiana? No, perché l’umanità nel corso del tempo ha potuto aggiungere, a concetti che si sono sviluppati in maniera embrionale, sempre maggior perfezionamento, ed anche delle intuizioni a prima vista assurde, hanno trovato maggior completezza nelle aggiunte delle scuole di pensiero successive.

Immaginiamo un artigiano che intende produrre un pezzo complesso, che mai nessuno ha avuto l’ardire di fare. Evidentemente il primo pezzo prodotto, non raggiungerà il risultato sperato, e saranno necessari notevoli aggiustamenti, per poi raggiungere, forse, l’atteso e sperato risultato, prodotto del concetto presente nella mente dell’artigiano. Forse l’artigiano non giungerà mai a produrre quel pezzo e i suoi successori aggiungeranno altre migliorie e perfezionamenti, fino ad arrivare ad oggi, in cui ancora i mastri modificano, migliorano e rettificano quel pezzo.

E se quel pezzo lo chiamassimo Dio? Penso che adesso sia tutto più chiaro. L’idea di Dio c’è nella mente, ma Dio non è spiegabile in maniera perfetta, altrimenti esaurirebbe la sua perfezione e sarebbe un qualcosa di limitato e pertanto oggetto della mente umana e quindi una sua costruzione.

Argomentare è semplice, meno facile è disporsi in maniera genuina alla verità evitando condizionamenti dati ed ideologie di fondo a cui vogliamo per forza riferirci.

Filosofia e teologia si comprendono e completano a vicenda perché entrambe naturalmente tendono al vero e pertanto condividono inevitabilmente il loro oggetto. Io non darò un nome a questo oggetto ma è facilmente intuibile quale sia.

Finalmente (vista la lunghezza dello scritto), posso passare al documento che doveva essere il corpo del testo; mi rendo conto che è passato in coda, ma spero che almeno dopo questa lettura, forse un po’ anche pesante, si possano affrontare con maggior disposizione e chiarezza le conclusioni che seguono. Cercherò di esaurire tutto il documento in poche battute, perché credo di aver già reso chiari notevoli dubbi che a prima vista avrebbero potuto far tentennare il lettore su una materia oggetto di secoli di contese. Nel primo documento di monsignor Fisichella ha messo bene in evidenza il ruolo della filosofia necessario affinché si possa avere una progressione nel contenuto della fede; è bene anche considerare che il contenuto teologico non può essere confezionato, spiegato e dato una volta per tutte, ma che nei tempi e nei diversi modi si perfeziona e completa sempre di più.

Come le due scienze filosofia e teologia si devono rapportare, mantenendo la loro autonomia? L’importante è capire che la teologia non può perdere la sua specificità; quando si rapporta con la filosofia, non deve avvenire una sorta di adattamento epistemico. Il documento è titolato OPORTET PHILOSOPHARI proprio a voler evidenziare la strada necessaria e universale della filosofia affinché il linguaggio teologico possa essere espresso, ed ancora il titolo prosegue IN THEOLOGIA ossia la filosofia è contestuale all’approccio teologico, né prima, né dopo, quindi non c’è nessun tipo di strumentalizzazione o dipendenza. Il punto cardine della teologia, anche se è stato già delineato nelle pagine precedenti è la Rivelazione. Altro importantissimo elemento da non trascurare è il considerare che l’uomo è creatura, ed in questa dimensione creaturale (di limite, di finitezza) si sviluppa il rapporto tra filosofia e teologia. Attenzione, questa considerazione è da tenere bene a mente, perché pone un limite al pensiero umano ed al filosofare, ossia stabilisce la non infallibilità dell’approccio filosofico, essendo esso derivazione di una logica soggetta all’errore, quale è quella dell’uomo. L’elemento rivelativo, la “stoltezza della croce” cancella ogni gnosi religiosa ed immette un elemento radicalmente nuovo che può essere compreso solo attraverso una particolare disposizione. Ma vi rendete conto? Una apparente follia che diventa un punto assiomatico della fede, ma come è possibile? Una logica capovolta che diventa quella avente maggior senso. Ecco che una comprensione umana, che si rifà al solo dato razionale, non può comprendere; è necessario inevitabilmente accogliere la fede. A pag. 233 del primo articolo al discorso di Paolo all’areopago di Atene si mette ben in luce come l’apostolo sia stato capace di coinvolgere l’uditorio facendo ricorso alla filosofia, ottenendo anche un grande consenso; il discorso crolla poi improvvisamente quando Paolo si riferisce alla centralità della sua predicazione, ossia alla risurrezione.

Cito: «la fede, per sua natura, entra in un orizzonte conoscitivo che la sola ragione non riesce a controllare». Che strada deve prendere la filosofia adesso? O segue l’oggetto di fede, oppure lo abbandona. Più chiaro di così …….

Tralasciando tutto il percorso storico della cristianità e di come la filosofia abbia continuamente mutato il suo metodo nel corso del suo peregrinare, ci riferiremo per pochi istanti su alcuni colossi della cristianità, ma anche della filosofia: Agostino, Anselmo e Tommaso.

Agostino è intento a dimostrare come la ragione sia la fonte reale di conoscenza insieme alla fede e quanto è importante l’autorità di chi testimonia il fatto. Colui che parla, è colui che crede e colui che crede è colui che è capace di far credere agli altri; non si tratta di un indottrinamento, ma di una genuinità teologico/speculativa tale da indurre nell’ascoltatore un carattere di autenticità che può scaturire solo da un dato certamente vero.

Cito ancora pag.240 «Filosofare, quindi, non consiste in altro che nell’approfondire, stimolare e ricercare la verità, che condurranno alla Verità tutta intera». La verità, dice Agostino, è data già all’uomo a cui preme

solo il compito di scoprirla, la verità è già esistente. Pertanto sia l’attività rivelata che quella pensata convergono l’una verso l’altra. La fede anticipa la ragione e in un certo senso la modella affinché possa lavorare nel modo corretto.

Con il Medioevo le cose cambiano e il filosofare diventa “l’arte prima” a cui seguono tutte le altre. Anselmo parla di una prova ontologica dell’esistenza di Dio, da buon monaco e abate, è mistico e ricercatore, ma anche un contemplativo che si avvale della rationis contemplatio. La ragione ha la funzione di scoprire una struttura intelligibile del dato di fede che possa avere una valenza universale.

Credo per comprendere, questa è la base del suo ricercare, ancora la ragione è per il Vescovo di Canterbury la «facoltà visiva dello Spirito», è la possibilità di rendere più chiara la fede, come abbiamo ampiamente detto nella prima parte.

Fides quaerens intellectum significa che la fede non è in antitesi alla ragione, ma ne implica la presenza.

Tommaso invece cerca attraverso la filosofia di arricchire la teologia e renderla maggiormente comprensibile. In Tommaso convergono diverse scuole di pensiero, da quella aristotelica in primis, alla quale si ispira maggiormente a Boezio, Dionigi ed ancora i testi della Scrittura. Egli elabora una sintesi nuova, riveduta e soprattutto mossa dallo spirito dell’amore e della conoscenza per certi versi più vicina ad Agostino che ad Aristotele. Ovviamente il suo stile sarà quello della scolastica, è un magister e pertanto seguirà un iter accademico per affrontare ogni questione come nella Summa contra Gentiles, definibile appieno come un trattato di apologetica. Si parte dal dato esterno, per poi da questo intelligere e giungere attraverso la ragione per continue astrazioni al dato rivelato ed acquisire una conoscenza sempre maggiore, mai completa di Dio. Cito ancora a pag 252 «l’intelligenza da sola, è sufficiente per affermare l’esistenza di Dio e dei suoi attributi, sic et simpliciter». L’inizio della Summa contra Gentiles, meriterebbe una attenzione di massimo rispetto su questo tema, magari sarebbe opportuno trattarla in sede di esposizione, per ora accontentiamoci di sapere che per Tommaso il comunicare di Dio attraverso la fede, non toglie nulla alla libertà dell’uomo, anzi rende più perfetta la creatura umana permettendole di intelligere su contenuti molto più profondi. La fede contiene verità che sono fuori dall’orizzonte conoscitivo (ad esempio l’incarnazione o il mistero della Trinità) ed a tali verità si può accedere solo mediante la fede; viceversa invece, la ragione è necessaria affinché tali contenuti sia esplicitati e compresi; ancora Tommaso definisce la scienza come ciò che si vede e la fede come ciò che si crede e non si vede. Ancora cito a pag 255 «La certezza della fede si fonda, pertanto, sull’intelligenza di Dio e la sua autorità, ossia sulla scienza di Dio, di cui la fede e la teologia sono una partecipazione; in questo senso essa è una scienza di grado superiore».

Copierei integralmente tutta la pag. 256 ma per brevità ancora mi limito a scrivere solo il pensiero di Bogliolo sulla fede e la ragione: «la forza della reciproca distinzione è proporzionale alla forza della reciproca complementarità».

A partire poi da Duns Scoto, e poi ancora con Cartesio e Kant fede e ragione inizieranno a percorrere due diversi binari che difficilmente si intersecheranno, il tempo della ancillarità verrà ampiamente superato.

L’errore della filosofia di voler fare a meno della teologia, ha avuto molto consenso in un gran numero di persone.

L’enciclica Aeternis Patris di Leone XIII evidenzia bene come sia necessario il legame tra filosofia e teologia affinché quest’ultima possa essere definita a pieno titolo una scienza.

A partire dall’enciclica la teologia perde ogni forma speculativa e bisognerà attendere Rahner con il metodo trascendentale per riaprire un confronto con le filosofie.

Tralascio la deriva filosofica moderna per ovvi motivi e mi riferisco chiudendo al paragrafo 5 del terzo articolo di cui si parlava all’inizio. Cito «la filosofia di per sé non crea nulla; essa, piuttosto, rende visibile ed esplicita ciò che è presente nell’attività propria dell’umanità». Filosofia equivale a far filosofia: il movimento del pensiero che si direziona verso la conoscenza è già un modo di far filosofia, pertanto è una attività del pensiero che riflette e si interroga per comprendere la verità.

Ancora sul rapporto filosofia e teologia: «il cammino ancillare dell’una verso l’altra non può favorire il riconoscimento della piena autonomia perché, essenzialmente, le prospetta come in sé incompiute e, pertanto, concluse solo se rapportate nell’apertura propedeutica all’altra».

Si parte dal punto teologico, ossia dalla Parola di Dio, si riflette sulla memoria, si arriva al Logos che assume carne umana ossia linguaggio e nomi comprensibili alla mente; per lavorare in questo senso è necessario ragionare, ossia far filosofia, avere un sapere della fede.

E’ questa l’applicazione dell’assioma OPORTET PHILOSOPHARI IN THEOLOGIA.

Ancora cito a pag.723 e mi scuso, ma mi rende difficile esprimere un concetto in maniera più chiara di questa sul rapporto tra filosofia e teologia: «La filosofia, in quanto tesa per sua natura a problematizzare l’essere, lo attuerà nel suo questionare; la teologia perché dovrà tendere a ciò che conosce fin dall’inizio del suo procedere come condizione metodologica: alla adoratio e contemplatio».

Concludo con un mio personale pensiero: la vera comprensione, a mio dire, è possibile solo quando ci stacchiamo da una logica preconfezionata; noi abbiamo un tesoro prezioso che dobbiamo custodire e che abbiamo ereditato dalla storia, il progresso umano in materia sia filosofica che teologica; abbiamo un bagaglio di conoscenza che può aiutarci tanto a progredire nel cammino della vita, ma per far questo è necessaria una decontaminazione dal pregiudizio, dall’intuizione apparente (per noi innata) e avvalendoci di strumenti più potenti (scusate il termine), perché riferiti ad una materia che ha per oggetto un qualcosa che ci supera. Il progredire della conoscenza in materia di fede è il ragionare più “nitido” su un contenuto più profondo che universalmente chiede di essere chiarito.

Raimondo Daniele

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Matrimonio e diaconato del 27.10.2020 https://www.comunitadiaconalesalerno.it/matrimonio-diaconato-del-27102020/ https://www.comunitadiaconalesalerno.it/matrimonio-diaconato-del-27102020/#respond Tue, 27 Oct 2020 15:47:56 +0000 http://www.comunitadiaconalesalerno.it/?p=1763 Per affrontare il tema del rapporto tra i sacramenti del matrimonio e dell’ordine nell’esperienza degli sposati diaconi, dobbiamo tener conto dell’attuale situazione della riflessione teologica nel contesto della Chiesa cattolica. Non abbiamo qui la pretesa di essere esaustivi, né consideriamo che gli aspetti che metteremo in luce siano validi in ogni realtà ecclesiale del pianeta. […]

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Per affrontare il tema del rapporto tra i sacramenti del matrimonio e dell’ordine nell’esperienza degli sposati diaconi, dobbiamo tener conto dell’attuale situazione della riflessione teologica nel contesto della Chiesa cattolica. Non abbiamo qui la pretesa di essere esaustivi, né consideriamo che gli aspetti che metteremo in luce siano validi in ogni realtà ecclesiale del pianeta.

Nodi teologici non risolti

Tuttavia, ci pare di poter individuare alcuni nodi che, come delle grandi questioni da affrontare, rimangono in generale irrisolti nel dialogo fra la riflessione e la prassi in gran parte delle Chiese locali del mondo. Ve ne sono certamente altri, ma questi ci sembrano particolarmente significativi per il nostro discorso. Ne evidenziamo tre.

  1. La teologia del ministero ordinato, ancora molto centrata su una visione sacerdotale del sacramento, quindi partendo dalla concezione dei poteri concessi all’ordinato. Una visione “dall’alto al basso”, cultuale, e soprattutto che favorisce la comprensione di una separazione tra il “sacro” e il “profano”.
  2. La comprensione diffusa nell’immaginario ecclesiale dell’identificazione tra sacerdozio e celibato, poiché la sessualità viene più o meno inconsciamente compresa come una realtà “profana”, non adatta al ministro del “sacro”, quindi al culto e alla mediazione tra Dio e l’uomo. Si tratta, oltre che di un problema antropologico e pastorale, anche di una questione teologica perché si fonda su una comprensione errata dell’immagine di Dio (il Dio di Gesù Cristo non separa, ma unisce; Gesù Cristo è l’unico mediatore, il sommo sacerdote; il sacerdozio di Cristo è la sua offerta della vita e non un atto di sacrificio di culto) e perché non riesce a giustificare delle realtà già presenti nella Chiesa di oriente, sia cattolica che ortodossa (i “preti sposati”).

 

  1. L’approfondimento del sacramento del matrimonio nella sua identità teologica profonda. La comprensione del matrimonio come finalizzato all’unione tra gli sposi e alla fecondità e, inoltre, l’assunzione della dimensione ministeriale dei coniugi in relazione alla famiglia, alla Chiesa e alla società sono ancora deboli (c’è ancora chi pensa che il ministro del sacramento del matrimonio sia il presbitero o il diacono che benedice le nozze: i ministri sono invece gli sposi!).

Di fronte a questi nodi teologici irrisolti, il diaconato costituisce un forte elemento di rottura. Non è un caso che, nel dibattito conciliare, ci siano state forti resistenze al ripristino del diaconato permanente legate alla prospettiva che degli uomini sposati accedessero al ministero ordinato (con la paura che tale concessione fosse solo l’anticamera dell’ammissione di sposati al ministero sacerdotale nella Chiesa cattolica latina).

Vino nuovo in otri nuovi

In una comprensione teologica tuttora ancorata nelle visioni sopra accennate (alle quali corrisponde una precisa comprensione del modo di concepire e di essere Chiesa, assai piramidale, clericale e sacrale) non c’è posto per gli sposati diaconi né tanto meno per il diaconato (da una teologia che si muove dalla prospettiva dei “poteri” concessi all’ordinato, sgorgano le consuete obiezioni sul ministero diaconale che in sé non ha nessun potere in più rispetto a un laico).

Ma, in una concezione teologica nuova del ministero ordinato, si possono comprendere meglio le enormi risorse racchiuse nell’esperienza di una “doppia sacramentalità” insita nel mistero degli sposati diaconi. Sarebbe necessario richiamare il fondamento battesimale e le notevoli implicazioni ecclesiologiche insite in questa prospettiva, ma qui non abbiamo spazio. È sufficiente dare un’indicazione di prospettiva nuova.

 

Accenniamo brevissimamente alla proposta teologica sistematica. Il cuore della riflessione nasce dalla riscoperta del senso originario del ministero dell’ordine, il quale esiste per volontà divina con due finalità (ben descritte in vari passi del Nuovo Testamento):

custodire l’apostolicità del messaggio evangelico (garantire cioè che quello che la Chiesa e ogni battezzato annunciano, vivono, testimoniano è fedele all’insegnamento originale degli apostoli, cioè al kerigma);
custodire l’unità della Chiesa, favorendo la crescita della comunione nella comunità cristiana (in tutti i suoi membri, ognuno con i propri doni e carismi, vocazioni e missioni, ruoli e competenze).

A partire da questa prospettiva, e ricordando d’altro canto che il ministero degli sposi è intimamente radicato nell’unione fra i coniugi e nell’apertura alla vita per una fecondità della Chiesa, ci pare di poter suggerire queste piste di approfondimento per comprendere che cosa rende il diaconato degli sposati una straordinaria opportunità e un grande contributo al rinnovamento della Chiesa tutta.

Proposte per una prospettiva diversa

In primo luogo, la questione fondamentale è quella di non comprendere la condizione dell’ordinato diacono come quella di uno “scisso in casa propria”. In altre parole, il diaconato come vocazione e grazia viene ricevuto da un uomo che è già sposato e rimane tale, non solo come condizione sociologica, ma come realtà teologica. Quindi è pericoloso partire da una comprensione che divide le due realtà, che le affianca in maniera giustapposta, addirittura che le contrappone fra loro.

Se vi è questa implicita comprensione di fondo (alimentata appunto da concezioni errate della realtà, quasi a dire che il ministero ordinato riguarda le cose di Dio e il sacro, mentre il matrimonio ha a che vedere con cose profane, necessarie ma possibilmente da evitare – la sessualità, i soldi ecc.),

naturalmente sarà vissuto come un problema e addirittura come una questione cruciale la necessaria ricerca di equilibrio tra i tempi “dedicati al ministero” e i tempi “dedicati alla famiglia” (il terzo incomodo sarebbe il lavoro, ma non mi dilungo su di esso… si può intuire che anch’esso rientrerebbe, per me, in una nuova visione di unità).

Se, invece, si parte dalla comprensione dell’unità profonda esistente fra le due realtà, legata al fatto di essere vissute dalla stessa persona, nel contesto delle proprie relazioni, allora la dimensione del diaconato diventerà un ulteriore dono e una nuova opportunità a partire dal modo di comprendersi e di vivere la propria vita matrimoniale e familiare. Si è diaconi sempre, e quindi anche in camera da letto e in cucina!

Il fulcro su cui probabilmente va concentrata l’attenzione è il modo in cui si vivono le relazioni, partendo da una riscoperta della persona come “essere in relazione”, e non come “monade” che poi si mette in relazione con chi gli capita di incontrare. Il sacramento del diaconato va vissuto in casa come in parrocchia, al lavoro come al supermercato, per strada come in chiesa. Lo stesso naturalmente si deve dire al contrario e primariamente dell’essere sposo ed eventualmente padre.

Naturalmente questo comporta un’assunzione ancora più seria del processo di discernimento, che prepara a un vissuto del ministero in cui il ruolo della sposa è imprescindibile. Teologicamente questo esige un ripensamento del modo in cui viene intesa la vocazione, che siamo abituati a considerare una realtà non personale (la persona è sempre relazione), bensì individuale. Del tipo: “mio marito sente la vocazione al diaconato, io mi adeguo”; oppure, “se non ci fosse mia moglie, potrei essere diacono anch’io”. La vocazione è relazionale, e non può esistere una vocazione che contraddica una precedente vocazione.

Domandiamoci: abbiamo sviluppato nella Chiesa la capacità di accompagnare nel discernimento alla vocazione al matrimonio le coppie? Il nostro analogatum princeps per il discernimento vocazionale è la condizione

del celibe o della nubile, perché comprendiamo la relazione con il Dio che chiama in una prospettiva di alternativa con altre relazioni assolutizzanti. Ma deve essere proprio così?

Proponiamo invece di considerare la vocazione al matrimonio come punto di riferimento per le altre, come ci insegnava don Ottorino, il quale chiedeva ai religiosi di avere come modello i propri genitori, nel loro rapporto di coppia, per imparare a vivere meglio le relazioni e ad essere così santi.

Anche il rapporto con Gesù di un celibe deve essere pensato alla stregua del rapporto tra i coniugi: ma questo significa che l’amore nuziale è il riferimento basilare per comprendere persino la realtà di Dio (peraltro, i testi biblici ce lo insegnano con una infinità di riferimenti di questo tipo – cf. per es., i profeti Osea ed Ezechiele, le nozze di Cana ecc.).

Contributo del matrimonio al diaconato

Il sacramento del matrimonio, infatti, è unità e fecondità. Se il ministero dell’ordine, a sua volta, è ministero di custodia dell’unità della Chiesa, della comunità, comprendiamo che dalla realtà e dall’esperienza nuziale il diacono può attingere elementi preziosi per realizzare il proprio compito di custode della comunione ecclesiale.

Egli lo farà a partire dall’accentuazione della dimensione del servizio (“custodi del servizio”, ha definito i diaconi papa Francesco) e della vicinanza ai poveri (come Gesù Servo), ma lo farà soprattutto a partire da una specifica modalità di lettura della presenza di Dio nella vita ordinaria e nelle vicende degli uomini che gli è consegnata dalla propria condizione di marito, padre e lavoratore. Una determinata maniera di guardare alla realtà che richiama l’esperienza familiare di Nazareth (30 anni della vita di Gesù!), vicina al sentire di Maria che la sposa aiuta a rendere presente anche nella sua esperienza affettiva e relazionale di donna.

Si pensi, per esempio, a come può essere diverso il modo di concepire i processi per affrontare i conflitti naturali nei rapporti tra un uomo abituato ogni giorno ad avere a che fare con la diversità dell’essere donna e con le tensioni “banali” del rapporto con i figli, rispetto a un uomo celibe, che magari vive anche da solo, e che comunque la sera chiude la porta della propria camera e non ha nessuno accanto (il grande tema dell’intimità!).

Va detto che questa propensione a custodire e ad alimentare l’unità nella diversità, a partire dalla vita ordinaria e non dai principi, il diacono ora dovrà viverla intensamente, oltre che in famiglia, innanzitutto nel rapporto con gli altri ministri ordinati, cioè con i preti e i diaconi con cui collabora. Certamente anche con il vescovo, ma senza dimenticare che la comunione si fa dentro i rapporti reali (questo insegna il matrimonio), e quindi con le persone concrete (il parroco, il cappellano, l’altro diacono…) con cui si è chiamati a guidare l’intera comunità.

L’osservazione si radica nel considerare seriamente il dato teologico dell’unità del sacramento dell’ordine nei suoi tre gradi, dato purtroppo spesso trascurato nella prassi. La logica è la stessa della famiglia: la comunione con i figli si fa meglio se c’è comunione fra i genitori; così nella Chiesa, la comunione tra e con i fedeli tutti è favorita dalla comunione tra i pastori. Logica, per altro, semplicemente umana, poiché in ogni gruppo umano la comunione tra i leaders è necessaria per un buon funzionamento del gruppo.

Contributo del diaconato al matrimonio

Il matrimonio, dono che cronologicamente precede quello del diaconato, ma anche affettivamente (e così deve essere: prima la moglie e i figli, poi la comunità cristiana, affinché questa non diventi una fuga da problemi interni alla famiglia) e – ci pare – pure teologicamente, sostiene quindi un “modo nuovo” di esercitare il ministero ordinato del diacono.

Esercitandosi nell’unità nell’intimità e nella diversità, i diaconi sono aiutati ad essere costruttori di comunione anche all’esterno della famiglia.

È chiaro che il modo concreto in cui poi si organizza la vita della specifica coppia diaconale dipende da tantissimi elementi contingenti, e non si può definire a priori. Sarebbe assurdo pensare che si dovesse dare una percentuale di tempo indicata previamente al ministero pastorale (ma chi ha detto che la pastorale è solo quello che si fa in parrocchia?), alla famiglia e al lavoro. Si tratta, invece, di esercitare la difficile arte del dialogo.

In questo senso vedo anche il contributo specifico che il diaconato dà al matrimonio, e che ho visto esplicitato nell’esperienza di diverse coppie.

Fin dall’inizio del cammino, la prospettiva – che poi si realizza dall’ordinazione – che il marito diventi “una persona pubblica” nella e per la Chiesa aiuta (direi che obbliga, nella logica dell’obbedienza spirituale) a intensificare il cammino della comunione fra i due coniugi. Comporta un incremento di spazi di confronto, una nuova dimensione di incontro e di dialogo, un rinnovato sperimentarsi nella conoscenza reciproca. Il che è salutare per una coppia, che non smette mai di crescere, e che in certi passaggi della propria esistenza ha bisogno di elementi di novità per essere aiutata a non arenarsi nel “ormai so come è fatto\a”.

Crediamo nasca spontanea la percezione che questa opportunità necessita della saggezza di farsi accompagnare, perché può anche capitare, che di fronte allo stallo dell’esperienza di coppia, riemergano fatiche, aspirazioni personali sopite, frustrazioni più o meno antiche che cercano inconsciamente una compensazione in un ruolo e in un riconoscimento esterno, come può essere il diaconato (questo per lo sposo).

La sposa, dal canto suo, potrebbe vedere la novità del diaconato un modo per… liberarsi del marito (“se sta fuori casa, soprattutto ora che è pensionato, lui e contento e io sto più tranquilla”)!

Quindi, il primo dono che riceve una coppia di sposi dalla prospettiva del diaconato (non sempre assecondata dai processi formativi) è la consapevolezza e la concretizzazione di un cammino accompagnato e sostenuto da una guida (sono bellissime le esperienze di tutoraggio insite in tante proposte formative delle diocesi).

Un aiuto a crescere nell’unità tra gli sposi, dunque, visto che spesso “l’incomodo diaconato” permette di far venire a galla e di affrontare piccole tensioni mai espresse, trasformando il tutto in una nuova fecondità. E di fecondità nuova il matrimonio ne riceve tanta, se si pensa (come alcune coppie testimoniano) il modo in cui viene assunta la cura della porzione di popolo di Dio affidata al diacono necessariamente sostenuto dalla moglie. E succede lo stesso che con i figli: a seconda della situazione, del carattere, dell’età, delle altre figure educative, bisognerà discernere il modo di stare presenti.

A volte è bene che la sposa affianchi il diacono nelle sue esperienze pastorali, a volte è meglio che stia lontana, a volte è importante avere spazi comuni di servizio, a volte è opportuno invece essere più prudenti. Il tutto a partire da una maturazione ulteriore nell’intimità della coppia, che allarga la prospettiva della condivisione affettiva e spirituale alla cura delle persone affidate alla rispettiva attenzione pastorale.

Questo elemento ha una ricaduta essenziale sulla preghiera comune. A questo aspetto dedichiamo l’ultimo richiamo, per portarlo al centro dell’attenzione. La coppia diaconale prega insieme.

Da questo punto di vista, non è sicuro che sempre sia opportuno insistere sulla liturgia delle ore come obbligo “clericale” per il diacono (ma questo non possiamo cambiarlo senza l’autorizzazione della Chiesa).

Crediamo che la preghiera del ministro ordinato sia però arricchita dal richiamo alla vita concreta che viene dallo stile familiare e dalla condivisione della stessa con la moglie. Non si può immaginare come funzioni bene una coppia di sposi, chiamata nell’ordinazione del marito a una presenza pubblica dentro la comunità ecclesiale, che non faccia della comune preghiera un perno su cui incentrare la propria esistenza. Ecco allora che un approfondimento del vissuto di orazione può essere considerato una grande opportunità che il diaconato dello sposo favorisce, ma anche una cartina di tornasole per un discernimento vocazionale della coppia.

27 ottobre 2020
a cura di Padre Luca Garbinetto

 

 

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