vita spirituale

Sarà nostro compito ardire di dimostrare quello che da secoli interessa, interpella e scalfisce la mente umana circa il fondamento da cui far partire, o meglio il fine a cui tendere per comprendere “di Dio”.

Pensiero intrecciato lo ammetto, ma non può essere altrimenti: il limite della comprensione umana evidentemente non è capace di rendere spiegabile ciò che è “inconoscibile”.

L’oggetto della nostra discussione sarà riferito alla filosofia intesa come ancilla theologiae, questo binomio sarà inteso in una relazione di circolarità così come è ben descritta al paragrafo 5 del III articolo del capolavoro di Fisichella OPORTET PHILOSOPHARI IN THEOLOGIAE ed al quale spesso rimanderemo per dar seguito a questo audace e ambizioso legame ancillare.

Alcune domande potrebbero essere poste:

1) Perchè questo legame è essenziale?

2) E’ possibile partire da un dato metafisico e porlo come oggetto di evidenza, studio e analisi?

3) Il non credente può riflettere sugli asserti oggetto della fede?

Alcune possibili questioni, queste, che potrebbero essere sollevate ed alle quali cercheremo di rispondere rivivendo il documento su indicato, ma anche chiamando in campo la nostra ragione, capace evidentemente di apportare un contributo sicuramente positivo a questa questione, o meglio alla necessità di questo legame.

Quesito n.1: il compito della ragione nei confronti del pensiero teologico

Permettere di comprendere attraverso il ragionamento logico, l’analisi storica (perché la storia è essenziale in questo contesto) e la facoltà potremmo dire naturale di intelligere, dei contenuti che necessitano di un percorso di ricerca speculativo al fine di essere intesi in maniera più chiara e senza fraintendimento alcuno. Detto in parole povere, la filosofia spiega la teologia. Ma questo significa che è in una condizione seconda rispetto ad essa? Di impeto risponderei SI, ma non mi è consentito farlo e forse nemmeno io lo credo realmente. La natura istintuale ci contraddistingue, e spesso tendiamo a delle conclusioni affrettate senza riflettere. La filosofia, intesa in questa accezione, è capacità di ragionare: è ratio o meglio ancora è riferita alla recta ratio. Essa non esamina in maniera distaccata e fredda il dato, ma è uno “scervellarsi” a comprendere ciò che la mente stessa, limitata dalla sua costituzione fisico/biologica vorrebbe negare.

Prima ho parlato della condizione di necessarietà, mi spiego meglio: è necessario filosofare, senza la filosofia non esiste ricerca e senza ricerca non esiste conoscenza, o quanto meno non riusciamo ad accedervi; come potete vedere quel “SI” netto che ho dato, evidentemente ha già avuto un piccolo ripensamento. Si, perchè la fede, o meglio il pensiero teologico necessita di un ragionamento, un filosofare, per essere compreso, detto e reso evidente. Lo dico in maniera ancora più semplice, la teologia chiama in causa la filosofia per farsi conoscere. Ma alcuni di voi potrebbero dire: “La filosofia allora serve solo a spiegare la teologia?” e ancora “ E’ solo al suo servizio?” rispondo “NO”, perché oltre ad avere la pretesa di rendere comprensibile, almeno secondo i modi di conoscere umani, la teologia ha anche il compito, non meno importante, di impostare un costrutto argomentativo di conoscenza nel soggetto che esperisce (fatemi passare vi prego questa espressione). La filosofia alimenta il desiderio di conoscenza della verità, indaga sul principio, sulle cause e nello specifico indaga su Dio e cerca di dimostrarne la sua esistenza.

Quesito 2: le preambula fidei

Al punto 67 della Fides et Ratio si parla di alcune verità che la ragione è capace di cogliere in maniera quasi naturale, ossia le preambula fidei, i segni certi dell’esistenza di Dio.

Ma quali sono? I miracoli, il linguaggio umano che vuole parlare di Dio, la conoscenza di Dio che si rende noto attraverso altri fenomeni, la dottrina dell’analogia di Tommaso che non posso esimermi dal citare.

E se ai miracoli non credo? La scienza moderna ci impone di non credere a ciò che non è possibile dimostrare. Ma allora il miracolo cos’è? Definiamolo così: il limite in cui si infrange la potenza conoscitiva dell’uomo, il risultato inatteso, inspiegabile che la sola ragione non riesce a comprendere e che “alcuni” vorrebbero negare a prescindere dall’evidenza. Da cristiano, so cosa è il miracolo per me e per chi crede, ma mi riservo di tenere questa consapevolezza per me. Da filosofo non credente, invece, mi devo almeno impegnare a porre in essere un percorso di ricerca speculativo che segue la stessa logica dello studio scientifico, ma come oggetto, stavolta, ha un elemento di ordine metafisico. Di ciò che non si conosce, o meglio, di ciò che la mente umana non comprende, non si può negare l’esistenza se tale esistenza è dimostrabile per altre vie.

Quindi penso di aver chiarito il discorso sul miracolo, il punto di maggiore scontro con il filosofo moderno che si rifà esclusivamente al dato empirico e non ammette “l’errore” che ogni tanto si può verificare.

Provo a schematizzare quello che ho detto:

A= persona miracolata

B= male incurabile

C= guarigione impossibile

D= guarigione avvenuta

Vediamo come collegherebbe questi elementi il logico empirista:

Se il soggetto A ha un male incurabile B è impossibile che avvenga la guarigione C

Ma invece si è verificato questo:

A ha B riceve la guarigione D

Come giustificherebbe la scienza questa condizione impossibile che si è verificata?

Innanzitutto incontra un limite inspiegabile, una barriera che può essere affrontata in due modi: ammettendo che esista qualcosa di cui non si conosce ancora l’esistenza e che ha innescato la guarigione, oppure non riesce a dare una risposta credibile e si arrampica su ipotetiche teorie.

Il cristiano cosa risponderebbe? Beh, lo sappiamo: Dio ha interceduto per lui e gli ha concesso la grazia.

Non è mia assoluta intenzione entrare in questo contesto, ma credo che da parte di una conclamata disciplina scientifica, razionale, certa e dimostrabile, delle risposte giustificative simili a quelle dette poc’anzi certamente non potrebbero avere nessun consenso tra le persone.

Il filosofare è l’attività di fondo che è alla base di ogni azione umana, sia essa sensibile, sia essa immanente al soggetto. Gli altri punti quali l’analogia, l’evidenza di Dio a partire ad esempio della creazione meritano un’attenzione più ampia; per il momento ci basta comprendere che evidentemente questa voglia affannata di ricerca e di voler comprendere, essendo comune a tutti, avendo quindi una matrice universale, si riferisce ad un qualcosa che è essenziale, costitutivo, ontologico, chiamiamolo come vogliamo, pur capendo che esiste in tutti il sentore e la voglia di trascendersi, di uscire fuori dal limite e dalla circoscrizione del mondo e dei suoi asserti troppo limitati per esaurire la nostra sete di conoscenza.

A bel leggere, si può comprendere come la filosofia e la teologia sono due condizioni necessitanti che vivono in una condizione di vicendevole interscambio. E’ ovvio che per il credente il presupposto di fondo è la rivelazione ed ancor di più la persona storica di Gesù di Nazareth; ma è anche vero che per altre vie il non credente tende a cercare e capire e tende ugualmente a raggiungere un fine, forse definito in modo diverso, forse contrario alla fede cristiana, ma comunque il succo del discorso non cambia. L’uomo ha bisogno di risposte a domande ancestrali e per avere tali risposte, ha bisogno di accedere a dei contenuti che lo trascendono.

Il legame tra teologia e filosofia è questo: trovare nel trascendente la chiave di volta dell’immanente. La chiave di volta adempie ad una funzione strutturale, per l’uomo questa struttura è Dio. Io lo chiamo Cristo, voi chiamatelo come volete, ma siate intellettualmente onesti.

Quesiti 3 e 4: La teologia come criterio negativo alla filosofia

Al paragrafo 50 della Fides et Ratio si parla del compito del magistero della Chiesa di indicare alle filosofie la strada da percorrere orientandole alla recta ratio ossia e cito direttamente dal documento «alla ragione che riflette correttamente sul vero». In questo senso la teologia avrebbe la pretesa di correggere la filosofia, anche questa prima analisi superficiale, come vedremo è falsa; andiamo analizzare il perché di questa infondatezza.

Quando la filosofia devia dal suo compito naturale, o meglio che le è più congeniale, percorre strade impervie, che pretendono di arrivare ad una finzione mascherata da verità; premetto che il discorso è più arzigogolato per chi non vuole far ricorso alla fede, ma il tempo e quindi l’evidenza storica hanno potuto ben constatare il punto di arrivo della filosofia profana, quando questa si è sganciata dalla fede,

chiudendosi nelle sue assolutizzazioni: si è sprofondati in delle derive di pensiero che purtroppo molte volte hanno inciso in maniera negativa sulle persone, portando a forme estreme come il totalitarismo, tanto per citarne una.

Il risultato ottenuto da queste filosofie è mancante della completezza, di un rigore logico che è possibile interpretare e soprattutto, cosa non meno trascurabile, il loro fine non tende alla realizzazione dell’uomo essendo deludente e chiuso in un ambito delimitato.

Alla fine l’imperfetto filosofo cerca una strada che, anche se nominata diversamente, rimanda inevitabilmente al sapere teologico che culmina per i cristiani, come abbiamo detto, nella Rivelazione.

L’ultimo quesito è la filosofia che incomincia “da se stessa”: evidentemente il testo virgolettato è segno di una evidenza di limite, di un qualcosa, come ho già detto, di monco se non trova il suo attributo fondativo nell’oggetto della teologia.

E’ vero pure che il riferimento a cui si intende non è questo, ma l’idea di un qualcosa di imperfetto (la filosofia) che possa dare origine ad un ragionamento autentico, evidentemente già appura una incongruenza di difficile solvibilità.

La filosofia per i primi padri della Chiesa ha una funzione apologetica, perché nulla ha da aggiungere a quanto è già perfetto. Voi siete d’accordo? Erano nell’errore? La storia come ha risposto?

Cerchiamo di dare noi una risposta: D’accordo? In parte si. Il carattere di perfettibilità è veritiero quando il risultato che produce nella persona che specula è vero, o meglio è dimostrabile. Senza l’evento storico di Cristo, la filosofia cerca un’origine, ma non la trova, e se la trova non riesce a spiegarla, almeno in maniera che sia compresa universalmente e soprattutto condivisa. Ma allora, tutte le scuole filosofiche che hanno attraversato i nostri secoli sono state inutili? Ci si poteva fermare alla filosofia cristiana? No, perché l’umanità nel corso del tempo ha potuto aggiungere, a concetti che si sono sviluppati in maniera embrionale, sempre maggior perfezionamento, ed anche delle intuizioni a prima vista assurde, hanno trovato maggior completezza nelle aggiunte delle scuole di pensiero successive.

Immaginiamo un artigiano che intende produrre un pezzo complesso, che mai nessuno ha avuto l’ardire di fare. Evidentemente il primo pezzo prodotto, non raggiungerà il risultato sperato, e saranno necessari notevoli aggiustamenti, per poi raggiungere, forse, l’atteso e sperato risultato, prodotto del concetto presente nella mente dell’artigiano. Forse l’artigiano non giungerà mai a produrre quel pezzo e i suoi successori aggiungeranno altre migliorie e perfezionamenti, fino ad arrivare ad oggi, in cui ancora i mastri modificano, migliorano e rettificano quel pezzo.

E se quel pezzo lo chiamassimo Dio? Penso che adesso sia tutto più chiaro. L’idea di Dio c’è nella mente, ma Dio non è spiegabile in maniera perfetta, altrimenti esaurirebbe la sua perfezione e sarebbe un qualcosa di limitato e pertanto oggetto della mente umana e quindi una sua costruzione.

Argomentare è semplice, meno facile è disporsi in maniera genuina alla verità evitando condizionamenti dati ed ideologie di fondo a cui vogliamo per forza riferirci.

Filosofia e teologia si comprendono e completano a vicenda perché entrambe naturalmente tendono al vero e pertanto condividono inevitabilmente il loro oggetto. Io non darò un nome a questo oggetto ma è facilmente intuibile quale sia.

Finalmente (vista la lunghezza dello scritto), posso passare al documento che doveva essere il corpo del testo; mi rendo conto che è passato in coda, ma spero che almeno dopo questa lettura, forse un po’ anche pesante, si possano affrontare con maggior disposizione e chiarezza le conclusioni che seguono. Cercherò di esaurire tutto il documento in poche battute, perché credo di aver già reso chiari notevoli dubbi che a prima vista avrebbero potuto far tentennare il lettore su una materia oggetto di secoli di contese. Nel primo documento di monsignor Fisichella ha messo bene in evidenza il ruolo della filosofia necessario affinché si possa avere una progressione nel contenuto della fede; è bene anche considerare che il contenuto teologico non può essere confezionato, spiegato e dato una volta per tutte, ma che nei tempi e nei diversi modi si perfeziona e completa sempre di più.

Come le due scienze filosofia e teologia si devono rapportare, mantenendo la loro autonomia? L’importante è capire che la teologia non può perdere la sua specificità; quando si rapporta con la filosofia, non deve avvenire una sorta di adattamento epistemico. Il documento è titolato OPORTET PHILOSOPHARI proprio a voler evidenziare la strada necessaria e universale della filosofia affinché il linguaggio teologico possa essere espresso, ed ancora il titolo prosegue IN THEOLOGIA ossia la filosofia è contestuale all’approccio teologico, né prima, né dopo, quindi non c’è nessun tipo di strumentalizzazione o dipendenza. Il punto cardine della teologia, anche se è stato già delineato nelle pagine precedenti è la Rivelazione. Altro importantissimo elemento da non trascurare è il considerare che l’uomo è creatura, ed in questa dimensione creaturale (di limite, di finitezza) si sviluppa il rapporto tra filosofia e teologia. Attenzione, questa considerazione è da tenere bene a mente, perché pone un limite al pensiero umano ed al filosofare, ossia stabilisce la non infallibilità dell’approccio filosofico, essendo esso derivazione di una logica soggetta all’errore, quale è quella dell’uomo. L’elemento rivelativo, la “stoltezza della croce” cancella ogni gnosi religiosa ed immette un elemento radicalmente nuovo che può essere compreso solo attraverso una particolare disposizione. Ma vi rendete conto? Una apparente follia che diventa un punto assiomatico della fede, ma come è possibile? Una logica capovolta che diventa quella avente maggior senso. Ecco che una comprensione umana, che si rifà al solo dato razionale, non può comprendere; è necessario inevitabilmente accogliere la fede. A pag. 233 del primo articolo al discorso di Paolo all’areopago di Atene si mette ben in luce come l’apostolo sia stato capace di coinvolgere l’uditorio facendo ricorso alla filosofia, ottenendo anche un grande consenso; il discorso crolla poi improvvisamente quando Paolo si riferisce alla centralità della sua predicazione, ossia alla risurrezione.

Cito: «la fede, per sua natura, entra in un orizzonte conoscitivo che la sola ragione non riesce a controllare». Che strada deve prendere la filosofia adesso? O segue l’oggetto di fede, oppure lo abbandona. Più chiaro di così …….

Tralasciando tutto il percorso storico della cristianità e di come la filosofia abbia continuamente mutato il suo metodo nel corso del suo peregrinare, ci riferiremo per pochi istanti su alcuni colossi della cristianità, ma anche della filosofia: Agostino, Anselmo e Tommaso.

Agostino è intento a dimostrare come la ragione sia la fonte reale di conoscenza insieme alla fede e quanto è importante l’autorità di chi testimonia il fatto. Colui che parla, è colui che crede e colui che crede è colui che è capace di far credere agli altri; non si tratta di un indottrinamento, ma di una genuinità teologico/speculativa tale da indurre nell’ascoltatore un carattere di autenticità che può scaturire solo da un dato certamente vero.

Cito ancora pag.240 «Filosofare, quindi, non consiste in altro che nell’approfondire, stimolare e ricercare la verità, che condurranno alla Verità tutta intera». La verità, dice Agostino, è data già all’uomo a cui preme

solo il compito di scoprirla, la verità è già esistente. Pertanto sia l’attività rivelata che quella pensata convergono l’una verso l’altra. La fede anticipa la ragione e in un certo senso la modella affinché possa lavorare nel modo corretto.

Con il Medioevo le cose cambiano e il filosofare diventa “l’arte prima” a cui seguono tutte le altre. Anselmo parla di una prova ontologica dell’esistenza di Dio, da buon monaco e abate, è mistico e ricercatore, ma anche un contemplativo che si avvale della rationis contemplatio. La ragione ha la funzione di scoprire una struttura intelligibile del dato di fede che possa avere una valenza universale.

Credo per comprendere, questa è la base del suo ricercare, ancora la ragione è per il Vescovo di Canterbury la «facoltà visiva dello Spirito», è la possibilità di rendere più chiara la fede, come abbiamo ampiamente detto nella prima parte.

Fides quaerens intellectum significa che la fede non è in antitesi alla ragione, ma ne implica la presenza.

Tommaso invece cerca attraverso la filosofia di arricchire la teologia e renderla maggiormente comprensibile. In Tommaso convergono diverse scuole di pensiero, da quella aristotelica in primis, alla quale si ispira maggiormente a Boezio, Dionigi ed ancora i testi della Scrittura. Egli elabora una sintesi nuova, riveduta e soprattutto mossa dallo spirito dell’amore e della conoscenza per certi versi più vicina ad Agostino che ad Aristotele. Ovviamente il suo stile sarà quello della scolastica, è un magister e pertanto seguirà un iter accademico per affrontare ogni questione come nella Summa contra Gentiles, definibile appieno come un trattato di apologetica. Si parte dal dato esterno, per poi da questo intelligere e giungere attraverso la ragione per continue astrazioni al dato rivelato ed acquisire una conoscenza sempre maggiore, mai completa di Dio. Cito ancora a pag 252 «l’intelligenza da sola, è sufficiente per affermare l’esistenza di Dio e dei suoi attributi, sic et simpliciter». L’inizio della Summa contra Gentiles, meriterebbe una attenzione di massimo rispetto su questo tema, magari sarebbe opportuno trattarla in sede di esposizione, per ora accontentiamoci di sapere che per Tommaso il comunicare di Dio attraverso la fede, non toglie nulla alla libertà dell’uomo, anzi rende più perfetta la creatura umana permettendole di intelligere su contenuti molto più profondi. La fede contiene verità che sono fuori dall’orizzonte conoscitivo (ad esempio l’incarnazione o il mistero della Trinità) ed a tali verità si può accedere solo mediante la fede; viceversa invece, la ragione è necessaria affinché tali contenuti sia esplicitati e compresi; ancora Tommaso definisce la scienza come ciò che si vede e la fede come ciò che si crede e non si vede. Ancora cito a pag 255 «La certezza della fede si fonda, pertanto, sull’intelligenza di Dio e la sua autorità, ossia sulla scienza di Dio, di cui la fede e la teologia sono una partecipazione; in questo senso essa è una scienza di grado superiore».

Copierei integralmente tutta la pag. 256 ma per brevità ancora mi limito a scrivere solo il pensiero di Bogliolo sulla fede e la ragione: «la forza della reciproca distinzione è proporzionale alla forza della reciproca complementarità».

A partire poi da Duns Scoto, e poi ancora con Cartesio e Kant fede e ragione inizieranno a percorrere due diversi binari che difficilmente si intersecheranno, il tempo della ancillarità verrà ampiamente superato.

L’errore della filosofia di voler fare a meno della teologia, ha avuto molto consenso in un gran numero di persone.

L’enciclica Aeternis Patris di Leone XIII evidenzia bene come sia necessario il legame tra filosofia e teologia affinché quest’ultima possa essere definita a pieno titolo una scienza.

A partire dall’enciclica la teologia perde ogni forma speculativa e bisognerà attendere Rahner con il metodo trascendentale per riaprire un confronto con le filosofie.

Tralascio la deriva filosofica moderna per ovvi motivi e mi riferisco chiudendo al paragrafo 5 del terzo articolo di cui si parlava all’inizio. Cito «la filosofia di per sé non crea nulla; essa, piuttosto, rende visibile ed esplicita ciò che è presente nell’attività propria dell’umanità». Filosofia equivale a far filosofia: il movimento del pensiero che si direziona verso la conoscenza è già un modo di far filosofia, pertanto è una attività del pensiero che riflette e si interroga per comprendere la verità.

Ancora sul rapporto filosofia e teologia: «il cammino ancillare dell’una verso l’altra non può favorire il riconoscimento della piena autonomia perché, essenzialmente, le prospetta come in sé incompiute e, pertanto, concluse solo se rapportate nell’apertura propedeutica all’altra».

Si parte dal punto teologico, ossia dalla Parola di Dio, si riflette sulla memoria, si arriva al Logos che assume carne umana ossia linguaggio e nomi comprensibili alla mente; per lavorare in questo senso è necessario ragionare, ossia far filosofia, avere un sapere della fede.

E’ questa l’applicazione dell’assioma OPORTET PHILOSOPHARI IN THEOLOGIA.

Ancora cito a pag.723 e mi scuso, ma mi rende difficile esprimere un concetto in maniera più chiara di questa sul rapporto tra filosofia e teologia: «La filosofia, in quanto tesa per sua natura a problematizzare l’essere, lo attuerà nel suo questionare; la teologia perché dovrà tendere a ciò che conosce fin dall’inizio del suo procedere come condizione metodologica: alla adoratio e contemplatio».

Concludo con un mio personale pensiero: la vera comprensione, a mio dire, è possibile solo quando ci stacchiamo da una logica preconfezionata; noi abbiamo un tesoro prezioso che dobbiamo custodire e che abbiamo ereditato dalla storia, il progresso umano in materia sia filosofica che teologica; abbiamo un bagaglio di conoscenza che può aiutarci tanto a progredire nel cammino della vita, ma per far questo è necessaria una decontaminazione dal pregiudizio, dall’intuizione apparente (per noi innata) e avvalendoci di strumenti più potenti (scusate il termine), perché riferiti ad una materia che ha per oggetto un qualcosa che ci supera. Il progredire della conoscenza in materia di fede è il ragionare più “nitido” su un contenuto più profondo che universalmente chiede di essere chiarito.

Raimondo Daniele

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