La Pastorale della Chiesa può essere paragonata ad un prisma che, girato tra le mani, mostra le tante e numerose sfaccettature. A guardarlo bene è possibile ravvisare le tante opere di carità e l’attuazione dei “consigli evangelici”. Tra questi vi è quello del servizio ai fratelli e sorelle che soffrono nel corpo e nello spirito. Questa dovrebbe essere una tematica molto cara a quanti hanno una particolare propensione ed attenzione per il mondo della sofferenza. L’Ufficio della Pastorale della Salute, nelle singole diocesi potrebbe, approfondendo le varie problematiche esistenti, creare occasioni di incontri, dibattiti, e forti momenti di spiritualità in modo particolare in preparazione della Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio) con lo scopo di consolidare il rapporto tra tutte le Associazioni ed i Movimenti che operano nel campo dell’assistenza e del trasporto dei malati nei vari santuari mariani rivolgendo anche una particolare attenzione al mondo del volontariato laico e cattolico, avendo cura di approfondire il contesto culturale per dare maggior respiro ad una più aggiornata forma di evangelizzazione. La Pastorale della Salute non riguarda solo la dimensione fisico-biologica, ma, anche quella psicologica, sociale, relazionale, economica, morale e religiosa. Alla cultura del “benessere” dobbiamo affiancare il valore fondamentale ed inviolabile della vita umana. Papa Giovanni Paolo II, esperto anche della sofferenza ci ricorda in un passo “dell’Evangelium vitae” , quando indicava l’urgenza di “una riaffermazione precisa e ferma del valore della vita umana e della sua inviolabilità, e insieme un appassionato appello rivolto a tutti e a ciascuno, in nome di Dio: rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità”.

E’ importante tener presente che il territorio delle nostre diocesi, molto spesso esteso, presenta realtà culturali e sociali molto diverse tra loro per cui le opere di urbanizzazione, la creazione di nuovi quartieri “dormitorio”, l’impoverimento abitativo dei paesi e l’incremento di altri comuni vicini alle strutture universitarie o sulle grandi strade di traffico, tendono a disgregare l’antico substrato di familiarità ed amicizia che ancora resiste nei piccoli centri, creando quelle che potremmo definire “nuove solitudini”. Non va inoltre sottovalutato che oggi, nel mondo, si va sviluppando sempre più l’idea che la salute è diventata “oggetto di consumo”. L’uomo, nella ricerca ossessiva della salute a tutti costi, ha sviluppato una cultura narcisistica del corpo, spesso eccessiva e la sensazione che la medicina possa essere la risposta a tutti i bisogni e desideri personali ha fatto nascere alcune forme di “farmacodipendenza”. Il crearsi di falsi valori morali, che portano a confondere salute fisica con felicità, ha dato vita a nuovi idoli. Le illusioni di salvezza hanno inquinato il rapporto tra medicina e persona generando attese che la medicina, con i propri mezzi, non può soddisfare. Il concetto di vita diffuso dalla cultura del benessere non è più in grado di cogliere il valore della sofferenza che, ritenuta una grandezza negativa, toglie perfino significato alla vita stessa nel momento del dolore e della malattia.

Questa idea, riesce ad oscurare quello, più fondamentale, del valore intrinseco e inviolabile della vita umana. Anche tra i cristiani, purtroppo, va maturando la convinzione che nel momento della sofferenza non possa nascere una vocazione e una missione d’amore. La Pastorale della Salute, che può essere descritta come “la presenza e l’azione della Chiesa (nel mondo della sanità) per recare la luce e la grazia del Signore a coloro che soffrono e a quanti se ne prendono cura” prevede cinque aspetti nodali intorno a cui ruota il quadro essenziale di questo programma: “scopi, destinatari, soggetti, mezzi e luoghi”.

Credo che questo sia il terreno sul quale i Diaconi si devono muovere ed è quindi necessario che, coloro che si sentono particolarmente chiamati a questo servizio ecclesiale, si preparino sia culturalmente che spiritualmente ad essere operanti nel mondo della sofferenza ed in particolare essere vicino ai tanti ministri sacri anziani o ammalati. Questo impegno potrebbe divenire, oggi, il modo concreto per essere una Chiesa “ospedale da campo” che veda all’opera questi nuovi “samaritani” impegnati a testimoniare nel mondo che i “fratelli e le sorelle che soffrono devono essere amati non a parole ma con i fatti”. Il Diacono quindi come “ministro sacro” chiamato ad indossare il “grembiule” è tra i destinatari di questa missione ed insieme a tutti gli altri ministri ordinati, con il loro abito di servizio, possono e debbono essere gli “operatori sanitari” pronti a sostituire le mani ed il cuore dell’unico “Medico” dei corpi e delle anime. Si suggerisce, a quanti vogliono essere attivamente impegnati in questo particolare campo di servizio, di frequentare gli appositi corsi organizzati dalle varie Facoltà Teologiche o da Istituti religiosi predisposti alla cura degli ammalati. Si auspica la presenza dei Diaconi nelle Cappellanie ospedaliere, nelle corsie degli ospedali, nelle case di cura e nelle carceri. L’ideale sarebbe quello di predisporre, a livello diocesano e regionale, corsi di formazione per tutti i Diaconi nei vari settori della pastorale, onde poter in sinergia lavorare per creare una nuova mentalità di accoglienza, vicinanza, operatività concreta a favore non solo degli ammalati ma anche di quanti familiari, Associazioni, Movimenti e Gruppi hanno a cuore questo particolare e delicato settore della Pastorale. A tutta la Chiesa ed in particolare ai sacri ministri, Papa Francesco ricorda che: “se vogliamo incontrare realmente Cristo, è necessario che ne tocchiamo il corpo in quello piagato dei malati e dei poveri, come riscontro della comunione sacramentale ricevuta nell’Eucarestia: Il Corpo di Cristo, spezzato nella sacra liturgia, si lascia ritrovare dalla carità condivisa nei volti e nelle persone dei fratelli e delle sorelle più deboli”.

Diac. Francesco Giglio

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